Bruxelles – Un’aria di tristezza e astio si percepisce in commissione petizioni al Parlamento europeo. Il referendum sulla Brexit si avvicina, e a 3 settimane dal voto ormai l’Unione europea può fare poco. Soprattutto per quel che riguarda il diritto di voto dei britannici espatriati in altri Paesi dell’Unione europea. I cittadini del Regno Unito che risiedono in un altro Stato da più di 15 anni perdono il diritto di voto in patria, sia per le elezioni nazionali che, in questo caso, per il referendum. Ciò che più indigna gli expats è la contraddizione che la questione Brexit ha messo in luce: l’Unione europea garantisce ai suoi cittadini la libertà di circolazione tra i diversi Stati membri, ma nel momento in cui usufruiscono di questo diritto sono privati del diritto di voto nella loro patria. E non si tratta solo del Regno Unito, ma anche della Danimarca, dell’Irlanda, di Cipro e Malta, per quanto le condizioni e le norme siano diverse. Jacquelyn MacLennan, che insieme a Herry Schindler ha fatto ricorso nel Regno Unito sulla questione, era presente alla riunione della commissione. La cittadina britannica ha ricordato che il referendum potrebbe determinare per lei e tantissimi altri connazionali lo status di gastarbeiter (lavoratore ospite) nel Paese dove risiedono e di cittadino estero nell’Ue.
Nel caso della Brexit, proprio le tre categorie più colpite dalla decisione sono quelle che non avranno diritto a partecipare alla scelta: oltre ai britannici residenti all’estero bisogna contare anche i cittadini dell’Unione residenti in Gran Bretagna, che contribuiscono all’economia della Nazione senza avere la possibilità di esprimersi sul loro futuro status nel Paese. E con loro anche i giovani al di sotto dei 18 anni, che potrebbero trovarsi in un futuro molto diverso dal quello della ‘generazione Erasmus’. Inoltre l’eurodeputata Jude Kirton-Darling, S&D, ha ricordato che nel maggio 2015 Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Ue, aveva preso parte ad una riunione della commissione petizioni dove si era preso l’impegno “di assumere il ruolo di mediatore con i Paesi membri per avere una piena estensione del diritto al voto”. Se da una parte si percepisce rassegnazione nelle parole degli eurodeputati, dato che l’8 giugno scadrà la possibilità di registrarsi per il voto per posta, dall’altra si fa sempre più forte la voglia di combattere contro questa interpretazione restrittiva della cittadinanza. Ormai non più per la Brexit, ma per le prossime elezioni. Gli eurodeputati ribadiscono che il diritto alla libera circolazione non può comportare la perdita del diritto al voto. E per raggiungere l’obiettivo è fondamentale continuare a combattere e mantenere la petizione aperta, anche dopo il referendum di giugno.
Non è della stessa opinione la Commissione europea. Monika Mosshammer, rappresentante dell’esecutivo comunitario, ha ricordato alla riunione di oggi che nel 2014 la Commissione si è mossa per rafforzare la partecipazione alla vita democratica dell’Ue dei cittadini che usufruiscono della libertà di movimento, tramite una raccomandazione. Nonostante mancasse di potere vincolante, secondo Mosshammer questa ha consentito di intervenire presso alcuni Paesi membri affinché garantissero il diritto di voto a tutti i cittadini che mantengono un interesse nelle elezioni nazionali, benché residenti in un altro Stato. Ma per quanto l’Unione europea possa intervenire in qualche modo per quel che riguarda il diritto di voto per il Parlamento europeo, non ha invece alcun tipo di potere generale sulla legislazione che riguarda le elezioni nazionali, né sui referenda. Le decisioni su questi temi spettano agli Stati membri, perciò nei casi in questione non è possibile dichiarare una violazione del diritto comunitario. Alla luce di questi elementi, secondo la Commissione il caso dovrebbe essere chiuso.
I parlamentari hanno quindi concluso di mantenere aperta la petizione anche dopo il voto sulla Brexit e di proporre una interrogazione orale alla Commissione su come intende mettere in pratica le comunicazioni del 2014 e sull’impegno che Timmermans si era assunto in Parlamento. Inoltre è stato proposto di inviare una lettera ai Paesi membri che privano i loro cittadini del diritto di voto.