Bruxelles – L’ottimismo che si respirava nell’ultima settimana, con la Commissione che aveva deciso di rimandare ulteriori passi avanti contro la Polonia, nella speranza che una soluzione fosse a portata di mano, sembra essere già svanito. Tra Varsavia e Bruxelles i punti di disaccordo ci sono e rimangono, sempre gli stessi, praticamente da quando, lo scorso 13 gennaio, l’esecutivo comunitario ha avviato la procedura per verificare il rispetto dello Stato di diritto nel Paese dopo le controverse mosse del nuovo governo del Pis, partito ultranazionalista di destra salito al governo lo scorso ottobre. Così la Commissione europea non ha potuto fare altro che cristallizzare i motivi di scontro in un’opinione che, per dirla come il vicepresidente dell’esecutivo Ue, Frans Timmermans, “focalizza” le tre questioni aperte.
Primo, c’è la vicenda della nomina dei giudici del tribunale costituzionale. Il contenzioso ruota intorno alle nomine effettuate dal precedente governo a fine legislatura e considerate illegittime dal nuovo esecutivo che ha prontamente sostituito i giudici. Sul caso lo stesso tribunale ha emesso due sentenze che non sono però mai state trascritte sulla Gazzetta ufficiale e dunque non sono mai diventate effettive. Secondo punto di disaccordo, è la legge emessa lo scorso 22 dicembre dal nuovo governo che modifica il funzionamento del tribunale costituzionale, mettendo a rischio l’indipendenza dei giudici. Terzo, la Commissione vuole che al tribunale costituzionale polacco sia consentito di effettuare una valutazione sui nuovi atti legislativi del nuovo governo su una serie di temi sensibili, in particolare libertà dei media. L’esecutivo Ue ha chiesto informazioni in materia ma non sono mai arrivate.
Su questi temi ci sono state discussioni su discussioni, “come sapete sono stato due volte in Polonia”, ci sono stati “dialoghi costruttivi”, ma “nonostante i nostri migliori sforzi, ancora non sono state trovate soluzioni sulle nostre principali preoccupazioni”, ha spiegato oggi Timmermans. Non si tratta, ha specificato più volte il braccio destro di Jean-Claude Juncker, di “entrare nel dibattito politico in Polonia”, ma, “se sei un membro dell’Ue hai firmato e ratificato i trattati e questi contengono regole che sono state ratificate in un Paese sovrano, in modo sovrano”. Ora “queste devono essere applicate dagli Stati membri” e la Commissione “come guardiano dei trattati deve assicurarsi che questo venga fatto”.
Quello di oggi è il primo passo fatto dalla Commissione dopo l’apertura della procedura di verifica dello stato di diritto. Ora le autorità polacche sono invitate a presentare osservazioni su questa comunicazione e la Commissione capirà come e se ci sono i margini per continuare il dialogo. Se le preoccupazioni non saranno risolte “in un periodo di tempo ragionevole”, la Commissione potrà decidere se emettere una raccomandazione sullo stato di diritto, che costituirebbe la seconda fase del processo. Se anche questa non dovesse essere rispettata si potrebbe arrivare a fare scattare l’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea, che mai è stato utilizzato contro nessun Paese e che può portare fino alla sospensione del diritto di voto del Paese in Consiglio europeo. Si sta chiaramente tentando il tutto per tutto per evitare anche solo di potersi avvicinare a questa possibilità,
“Non voglio speculare su passi successivi perché ancora credo che siamo, anche dopo la telefonata che ho avuto questa notte con la premier Beata Szydlo, in un processo di dialogo costruttivo”, ha tagliato corto Timmermans. “Non ci siamo ancora, non siamo ancora al punto di dire ‘chiudiamo il dialogo perché l’argomento è risolto’, ma credo che possiamo arrivarci molto rapidamente”, si è detto fiducioso il vicepreside dell’esecutivo Ue. Questo, ha ricordato, “è un tempo molto molto difficile per tutti noi, la leadership polacca serve in Europa e non deve essere distratta da cose che credo possano essere risolte internamente in Polonia tra le diverse forze in un periodo di tempo relativamente breve”.