Bruxelles – Il trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, il Ttip, comporta “rischi molto concreti per i diritti dei lavoratori”, e tutte le previsioni di crescita delle esportazioni comunitarie fatte dalla Commissione “sono totalmente campate in aria”. È critico il segretario generale della confederazione europea dei sindacati Etuc-Ces, Luca Visentini, che pur non essendo contrario “in linea di principio” al libero scambio sottolinea i pericoli delle attuali trattative in corso tra Bruxelles e Washington e punta il dito anche contro il Ceta, l’accordo con il Canada, che “non deve essere ratificato”.
Qual è la posizione dei sindacati europei rispetto al Ttip?
“Non siamo contrari in linea di principio al libero commercio ma la trattativa con gli Stati Uniti è molto delicata. Noi stiamo insistendo su alcuni punti che non vediamo recepiti adeguatamente. Innanzitutto l’Europa ha una serie di produzioni e attività in agricoltura, piuttosto che nell’industria o nei servizi, che hanno delle specificità e caratteristiche che non trovano strumenti di difesa e di riconoscimento adeguati nei negoziati in corso. L’impressione è che gli Usa vogliano deregolamentare il più possibile togliendo protezioni di qualità ai prodotti europei, questo andrebbe a danno dei consumatori e determinerebbe rischi molto gravi per l’occupazione”.
La Commissione prevede un aumento delle esportazioni verso gli Usa del 27%? Crede non siano previsioni realistiche?
“Sono dati totalmente infondati, nessuno ci ha saputo spiegare in che modo si otterrebbero questi effetti. È probabile che ciò avvenga per i prodotti statunitensi ma ho seri dubbi rispetto al contrario. Non c’è nessuna evidenza, nonostante la molta propaganda, che le conseguenze su crescita economica e occupazione dei due sistemi saranno tanto positive quanto annunciato”.
Come sindacati temete ripercussioni dell’accordo sui diritti dei lavoratori?
“Il rischio per i diritti dei lavoratori europei è molto concreto in quanto c’è totale disparità di normative tra Europa e Usa con questi ultimi che non hanno ratificato quasi nessuna delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro, l’Ilo, su protezione dei lavoratori, sicurezza, diritti sociali e sindacali. Per questo stiamo studiando possibili soluzioni come l’ipotesi di iscrivere alcuni diritti nel trattato del Ttip per renderli vincolanti”.
Temete che le aziende Usa vengano nel nostro continente e concedano ai lavoratori un livello di diritti più basso?
“Certo, i lavoratori potrebbero avere in Europa le condizioni degli Usa o viceversa. Aziende comunitarie che hanno condizioni lavorative positive nel nostro continente negli Stati Uniti potrebbero dimenticare completamente le loro tradizioni, il che potrebbe determinare processi di licenziamenti, sfruttamento ma anche di delocalizzazione”.
Non crede che le Pmi, la base della nostra economia, potrebbero avere dei vantaggi a poter accedere al mercato Usa senza dazi e vincoli regolamentari troppo complicati?
“Teoricamente è così ma nei fatti, anche se si rimuovono le barriere commerciali, le Pmi da sole non hanno gli strumenti per muoversi su mercati del genere, dovrebbero consorziarsi o costruire reti per esportare. Inoltre le nostre Pmi sono quelle che producono prodotti di alta qualità e specificità, ma se come dicevamo si alterano i meccanismi di tutela, senza Doc e Igp, verranno spazzate via da questi accordi troppo liberalizzatori. Insomma la prospettiva resta vantaggiosa soprattutto per le multinazionali”.
Siete critici anche rispetto al Ceta, l’accordo di libero scambio già siglato con il Canada?
“Si, ci stiamo battendo affinché non venga ratificato dai parlamenti nazionali se alcune condizioni non verranno modificate. Chiediamo che venga congelato fino a quando non finiranno le trattative sul Ttip, e allora, basandoci anche sui risultati dei negoziati con gli Usa, chiedere la rinegoziazione di alcune parti”.