di Frances Coppola @Frances_Coppola
«La miglior critica della teoria quantitativa della moneta è di Keynes», ha commentato Toby Nangle su Twitter, facendo riferimento al seguente paragrafo della lettera aperta di Keynes a Roosevelt (il neretto è di Toby):
L’altra serie di errori, di cui temo l’influenza, nasce da una grezza dottrina economica comunemente conosciuta come la teoria quantitativa della moneta. L’aumento della produzione e l’aumento dei redditi subiranno una battuta d’arresto prima o poi, se la quantità di moneta è rigidamente fissata. Alcune persone sembrano dedurre da questo che la produzione e il reddito possono essere incrementati aumentando la quantità di moneta. Ma questo è come cercare di diventare grassi comprando una cintura più grande. Negli Stati Uniti oggi la cintura è abbastanza grande per la vostra pancia. È estremamente ingannevole concentrarsi sulla quantità di moneta, che è solo un fattore limitante, piuttosto che sul volume delle spese, che è il fattore operativo.
Ma davvero Keynes critica la teoria quantitativa della moneta (TQM)? Beh, no. Egli piuttosto contesta il modo in cui viene applicata e le politiche che ne derivano.
La TQM si basa su una identità:
MV = PY
dove M è la quantità di denaro in circolazione, V è la sua velocità, P è il livello generale dei prezzi e Y è la produzione.
Poiché si tratta di una identità, nulla dice sul nesso causale. Infatti, in questa forma, MV è la variabile dipendente e deve essere considerata come rispondente ai cambiamenti in PY, non viceversa.
Ma l’identità può ugualmente essere scritta PY = MV. E in questa citazione, Keynes stesso dice:
L’aumento di produzione e l’aumento dei redditi subiranno una battuta d’arresto prima o poi, se la quantità di denaro è rigidamente fissata.
Possiamo usare la TQM per dare una spiegazione. Dato un M fisso (stabile) quando Y aumenta o V sale (cioè il denaro circola più velocemente, il che significa che le persone spendono di più) o P diminuisce. Ma quando il livello dei prezzi P cala, le persone tendono a rinviare gli acquisti, il che rallenta la velocità del denaro. Così P in diminuzione tende ad essere associata con il calo, piuttosto che con l’aumento, di V. Perciò, se M è fisso, Y finirà per stagnare o diminuire. Alla quantità di denaro in circolazione (M) dovrebbe essere consentito quindi di crescere all’aumentare di Y (produzione), mantenendo stabile il livello dei prezzi.
Quindi, lungi dall’attaccarla, Keynes in realtà ha utilizzato la TQM.
Eppure sicuramente ne ha individuato aspetti critici. Quindi, su cosa ha realmente avuto da ridire?
L’obiezione riguarda l’espansione ATTIVA dell’offerta di moneta al fine di stimolare la produzione. Questo risulta evidente dalla frase finale:
È estremamente ingannevole concentrarsi sulla quantità di moneta, che è solo un fattore limitante, piuttosto che sul volume delle spese, che è il fattore operativo.
Mettendola in un altro modo, possiamo dire che sebbene mantenere fissa M impedisca a Y di aumentare (fattore limitante), aumentare M quando Y è stagnante non necessariamente si traduce in un aumento della produzione. Se questo accade, dipende dalla disponibilità delle persone ad aumentare la spesa.
Gli apologeti della TQM tendono a insistere sul fatto che una maggiore offerta di moneta deve stimolare la spesa: se la gente ha più soldi dovrà pur spenderli, vero? Ma questo dipende da altre ragioni. In effetti, ragioni piuttosto fondamentali.
La prima verte su cosa intendiamo per “money”. Nella sua pura forma monetarista – e confesso che me ne sono servita anche io – M è definita come base monetaria, M0. Gli “arcimonetaristi” vi diranno che l’aumento della base monetaria aumenta l’attività economica, per cui tutto ciò che è necessario per fare ripartire l’economia dopo un crollo è tanto tanto QE. Ma su questo punto temo di essere d’accordo con Keynes: l’aumento della base monetaria da sola non è in grado di fare rimettere in moto l’economia. Un’occhiata al Giappone è più che sufficiente per dirci questo.
Il problema è che nel sistema monetario moderno solo una piccola percentuale di denaro in circolazione è base monetaria. Il resto è ciò che noi chiamiamo “moneta in senso ampio”, creata dalle banche nel corso dell’attività creditizia. E quando le banche sono nei guai non prestano. Però consentitemi di ampliare il discorso. Quando i bilanci del settore privato sono compromessi – con la gente indebitata all’eccesso, i rating sbriciolati e una lotta allo stremo delle forze per servire i debiti esistenti – le banche non prestano e i clienti non prendono in prestito.
È il cane che si morde la coda: le banche diventano più selettive nel fare credito per puntellare i loro bilanci altamente rischiosi proprio quando i bilanci delle famiglie e delle imprese sono al top della fragilità. Accusiamo le banche di non prestare, mentre allo stesso tempo esigiamo che non rischino troppo. Rimproveriamo le imprese perché non prendono denaro in prestito per investire in nuova capacità produttiva, ma contemporaneamente incoraggiamo le famiglie a tagliare la spesa, perché possano permettersi di pagare i debiti e risparmiare per il futuro. E su questo cumulo fumante di doppi standard e messaggi contrastanti rovesciamo enormi quantità di base monetaria, nella convinzione che in questo modo, per incanto, le banche tornino prestare e la gente ricominci a spendere. La verità è che si tratta di una soluzione poco efficace in entrambi i casi.
Le banche non usano base monetaria per i prestiti. Aggiungere enormi quantità di base monetaria al sistema non le trasforma in soggetti prestatori. Anche in questo caso, un rapido sguardo ai risultati ottenuti ovunque dai QE, in qualsiasi quantità siano stati fatti, ci dà facilmente una risposta. La creazione di moneta in senso ampio non dipende dalla quantità di M0 nel sistema. Dipende, piuttosto, dalla disponibilità delle banche a prestare e dalla volontà delle famiglie e delle imprese a prendere in prestito. E questo a sua volta dipende dalla salute dei bilanci del settore privato. Quando i bilanci del settore privato sono seriamente compromessi, la moneta ristagna e nessuna quantità di base monetaria può fare una qualche differenza.
Non è stato Keynes a spiegare esattamente perché l’aggiunta di base monetaria al sistema non fa alcuna differenza quando i bilanci del settore privato sono malmessi. Per questa intuizione, abbiamo bisogno di guardare a Richard Koo. Ma Keynes ha compreso l’effetto. Aggiungere base monetaria al sistema quando le banche non vogliono prestare e le persone non vogliono spendere è come «spingere un pezzo di corda». O come portare un cavallo al fiume per bere. Se il cavallo non vuole bere, non lo farà, anche se davanti ha il Nilo.
Le banche centrali possono anche aggiungere moneta al sistema comprando titoli direttamente da imprese e famiglie, piuttosto che dalle banche. È un sistema più efficace? Non molto, francamente. E questo mi porta al mio secondo punto fondamentale. Se l’obiettivo è incoraggiare le persone a spendere ecco che diventa necessario aumentare il denaro a disposizione di coloro che sono più propensi a spendere.
Acquistare semplicemente gli asset dei ricchi non fa molta differenza per l’attività economica. Essi potranno spendere i soldi, questo sì, per altri asset. Ma, scendendo al livello della gente comune, le imprese faranno ancora molta fatica per trovare qualcuno che compri i loro beni e servizi, perché le persone che si pensa debbano acquistare non sono ricche, sono persone normali, sottopagate, eccessivamente indebitate e che lottano per fare quadrare i conti. Le persone più propense a spendere, quando ne hanno la possibilità, sono proprio quelle meno abbienti, non i ricchi. Quindi, a questo punto, potrei offrire un’immagine più sfumata di quella di Keynes: allentare la cintura può rendere più grassi se il modo in cui si allenta la cintura presuppone che la gente con più soldi da spendere sia poi per davvero quella più adatta a spenderli.
Non è detto che questo coincida con un aumento della moneta in senso ampio. Si potrebbe semplicemente tradurre in una ridistribuzione di quella esistente. Spennando i ricchi, per farla breve. O tassando i loro investimenti improduttivi (sì, lo so, questa è un’eresia).
Nel mondo della TQM non si dà abbastanza attenzione alle finezze distributive. Eppure la distribuzione di denaro è importante quanto la sua quantità. Se la maggior parte del denaro è posseduta da pochi, che lo fanno circolare tra loro per investire in beni, l’aggiunta di moneta si limita a gonfiare i prezzi di quei beni mentre la produzione ristagna e i prezzi di beni e servizi utilizzati dalla gente comune diminuiscono.
Così l’helicopter money sarebbe di gran lunga migliore del QE come stimolo monetario. Ma, come osserva John Kay, l’helicopter money è spesa in deficit. E questo mi porta al terzo punto, fondamentale.
L’espansione della base monetaria con il QE, fatta mentre si riduce la spesa e si aumentano le tasse per “aggiustare la finanza pubblica”, è una mossa davvero pessima. Perché? Semplice: sposta denaro dalle famiglie, che lo userebbero per acquistare beni e servizi, e dalle imprese, che lo investirebbero per una futura crescita, verso banche e ricchi, che lo investono in asset.
L’“effetto ricchezza”, mosso dai prezzi gonfiati degli asset, può incoraggiare marginalmente una maggiore spesa tra chi è abbastanza propenso all’azzardo da prendere in prestito (o disinvestire) sulla base di plusvalenze non ancora realizzate. Al tempo stesso, i tassi di interesse artificialmente bassi, determinati inevitabilmente dai prezzi gonfiati, possono incoraggiare l’indebitamento anche tra coloro che poi farebbero più fatica a pagare in caso di risalita del costo del denaro.
Insomma, la spesa in deficit sarebbe più sicura ed efficace dell’inondare le banche di riserve e del creare bolle. Spaventerebbe molto meno della stagnazione e della produzione persa. Invece ci siamo infilati in un’assurda camicia di forza per una paura del tutto ingiustificata del debito pubblico. Così ecco l’helicopter money e il “QE per la gente”, proposti come modi di fare spesa in deficit fingendo che non lo sia. Vogliamo davvero crederci?
Pubblicato sul blog dell’autrice il 19 maggio 2016. Traduzione di Econopoly.