Roma – Il professor Umberto Triulzi, docente di Politica economica e Politica economica dell’Ue presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma, ha pubblicato il suo manuale ‘Le politiche economiche dell’Unione europea’ nel 2010. Quest’anno è uscita la seconda edizione, perché nel frattempo “è cambiata l’Europa”, spiega accogliendoci nel suo studio per un’intervista in cui critica le misure di austerità che l’Ue continua a imporre ad Atene – a cui servirebbe invece “un taglio di almeno il 50%” del debito, indica -, parla dei rischi della Brexit e di una nuova governance dell’Eurozona, inclusa la proposta di un ministro del Tesoro unico e di eurotasse per finanziare un bilancio dell’Area Euro.
Professore, lei ha dovuto riscrivere gran parte del suo libro dopo le misure adottate in risposta alla crisi economica e finanziaria. Interventi come il Fiscal compact, improntati all’austerità. È stata la reazione giusta?
Penso che si potesse fare diversamente. In Europa prevale ormai da tempo un’impostazione quasi filosofica, portata avanti dai Paesi più forti, i quali ritengono che i Paesi più indebitati devono accentuare la loro politica di austerity. In una situazione così disomogenea all’interno dell’Unione economica e monetaria, dove alcuni riescono in qualche modo ad andare avanti e altri invece soffrono questa crisi in maniera più evidente, adottare le stesse misure mi pare molto punitivo. Probabilmente, Paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo, hanno bisogno di un po’ più di flessibilità per far fronte ai problemi che si ritrovano davanti. È vero che la Grecia ha commesso degli errori, che noi abbiamo un debito molto elevato, ma pretendere di dare la stessa ricetta a tutti non mi pare a soluzione migliore. Dobbiamo pensare a qualcosa di diverso, ma attualmente sembra prevalere una mentalità di rispetto delle regole forse eccessiva in Europa.
Quindi ritiene faccia bene il governo, non solo a chiedere la massima flessibilità consentita dai trattati, ma anche a insistere per cambiare le regole di bilancio?
Sì. Penso che l’Italia faccia bene a rappresentare questa necessità di cambiare le regole, imposte certamente per ridurre i forti debiti che i Paesi avevano accumulato nel tempo, ma prodotti anche dalla gigantesca crisi economica e finanziaria partita nel 2007 dagli Stati uniti. Fa bene a chiedere di cambiare le regole e fa bene a chiedere maggiore flessibilità, ma dovrebbe anche essere più propositiva. Non solo chiedere meno rigore e più flessibilità, ma anche immaginare una ricetta più vicina ai bisogni dei singoli Paesi, e dunque differenziata.
Riguardo alla nuova governance economica dell’Eurozona, si discute di istituire un ministro del Tesoro europeo e un’eurotassa per accrescere le risorse proprie dell’Ue. Sono soluzioni che vanno nella direzione giusta?
Direi di sì. Dobbiamo completare l’Unione economica e monetaria, dotandola di un bilancio unico, portando a compimento tutte le riforme previste per l’Unione bancaria, dobbiamo creare anche una Unione fiscale. Non possiamo avere una politica monetaria unica e poi politiche fiscali molto diverse da Paese a Paese, a eccezione dell’austerità. Capisco le resistenze di alcuni Paesi, in particolare della Germania, ma questa è una strada obbligata. Che ci sia un ministro delle Finanze o dell’Economia per l’Eurozona a me pare molto importante. Più difficile immaginare che questa scelta sia condivisa dagli altri Paesi dell’Ue.
Che funzioni dovrebbe avere questa nuova figura?
Il compito principale dovrebbe essere aumentare il bilancio europeo per l’Eurozona, portandolo a cifre corrispondenti ai fabbisogni dell’insieme dei Paesi che hanno adottato la moneta unica. Oggi abbiamo un bilancio Ue pari all’1% del Pil, bisognerebbe avere un bilancio per l’Area Euro tra il 5% e il 10% del Pil, almeno inizialmente. Di fatto abbiamo già una forma di fondo europeo, il Fondo salva stati. Quello potrebbe essere un embrione di quel Fondo monetario europeo la cui prima proposta risale addirittura al 1969. Ma bisogna immaginare un ministro del Tesoro europeo faccia crescere il bilancio dell’Eurozona anche prevedendo delle imposizioni fiscali. Perché non immaginare delle imposte sui prodotti energetici, o su alcuni consumi? Io sono molto favorevole a queste iniziative, ma per tornare a crescere abbiamo bisogno anche di un’azione molto concreta per riavvicinare la finanza all’economia, alle imprese. È una cosa difficilissima.
Si riferisce al fatto che la liquidità immessa dalla Bce nel sistema fatica a raggiungere l’economia reale. Quanto questa difficoltà è determinata dall’anomalia di una Banca centrale europea che, a differenza delle altre banche centrali, non è prestatore di ultima istanza?
Il disegno dell’Unione economica e monetaria è incompleto, lo sappiamo. Il fatto di aver costituito una Banca centrale europea che gestisce la politica monetaria dei Paesi membri senza però averle dato tutte le caratteristiche delle banche centrali – che sono prestatori di ultima istanza e dunque intervengono a finanziare anche i debiti degli Stati membri – è un’anomalia che credo comincerà a essere eliminata. Il ‘quantitative easing’ va in quella direzione perché prevede l’acquisto di titoli di Stato, seppure sul mercato secondario. È un elemento di grandissima innovazione. La Bce ha dato un segnale di grandissima intelligenza ampliando lo spazio di interpretazione delle norme (che le impediscono l’acquisto diretto di titoli di Stato, ndr) pur rispettandole. Questa è una direzione su cui credo si dovrà andare avanti, però ho l’impressione, ricavata da tanti studi, che il comportamento della politica monetaria non potrà andare oltre. Dopo aver fornito tutta la liquidità di cui c’è bisogno, il problema centrale è che questa liquidità non viene trasferita a cittadini e imprese.
La Grecia ha ottenuto nuovi aiuti finanziari, ma ha dovuto adottare ulteriori misure di austerità. È il modo giusto per far rientrare il debito di Atene?
Continuando in questa logica non stiamo realmente aiutando la Grecia a risolvere i propri problemi. Il vero tema è consentire al Paese di riprendere a crescere, non deprivandosi di tutti i gioielli, quei pochi che ha, ma consentendogli di tornare a investire, anche sotto il controllo dell’Ue, per rafforzare una struttura economica e sociale che ha sofferto terribilmente in questi ultimi anni. La logica è una sola, quella adottata nei confronti della Germania uscita sconfitta dal secondo conflitto mondiale: un taglio quasi totale del debito. Nel caso della Grecia, probabilmente, non sarà possibile un taglio quasi totale. Si parla per la prima volta di un contenimento forse del 10%. Quello che servirebbe è un taglio di almeno il 50%. La logica attuale rischia di diventare perversa, dobbiamo invece allentare la pressione sulla Grecia per consentirle di tornare a crescere.
Quali sono i rischi reali di una eventuale Brexit, l’uscita del Regno unito dall’Ue?
Sotto il profilo economico i danni io li vedo più per la Gran Bretagna che non per l’Europa, ceh invece avrebbe più un danno psicologico. Mi auguro che alla fine prevalga lo spirito conservatore britannico, intenso come volontà di non cambiare una situazione in cui Londra ha tutti i vantaggi. Ma se dovessero decidere di uscire, sarebbe un grossissimo elemento di debolezza per la costruzione europea. Sarebbe il primo Paese a dare evidenza di non avere più ragioni per rimane, e ciò potrebbe alimentare le tendenze xenofobe e antieuropeiste in tanti altri Paesi. Pensiamo alla Polonia e all’Ungheria, ma potrebbe essere anche la Grecia a voler uscire nell’impossibilità di rispettare tutte le condizioni che gli abbiamo imposto. Un’uscita della Gran Bretagna dall’Ue sarebbe dunque molto grave.