Le cose in Gran Bretagna stanno precipitando. Il referendum Brexit sull’abbandono o meno dell’Unione europea sta dilaniando il Paese forse oltre le aspettative, e il 24 giugno, il giorno dopo del voto, potrebbero cambiare molte cose.
Tempo fa scrivemmo che una vittoria del Leave probabilmente non avrebbe scalzato David Cameron dalla sua poltrona di primo ministro, data una vera mancanza di alternativa di governo. La questione, da questo punto di vista, non è cambiata, ma si sono aggravate le divisioni all’interno dei partiti principali e dunque il futuro è quantomai incerto, in ogni caso di esito referendario.
In un articolo di ieri abbiamo illustrato i risultati dei sondaggi sulla popolarità dei principali leader britannici, che descrivono un Cameron in picchiata, preceduto da tutti gli altri, due sostenitori del Leave (Boris Johnson e Nigel Farage) e da uno dello Stay (Jeremy Corbyn). Ma questo è un momento di tensione, anche gli elettori possono essere confusi, in fondo il premier sta facendo quello che aveva promesso prima della trionfale compagna elettorale dello scorso anno. Forse sono i modi che non piacciono o forse, come scrivemmo nel dicembre scorso, durante la campagna referendaria stanno venendo al pettine quei nodi sull’inconsistenza dell’accordo fatto da Cameron con i partner dell’Unione europea. Il premier non sta riuscendo a vendere fumo.
Dunque cosa può succedere dopo il 23 giugno? Di tutto, le possibilità sono molte e nessuna confortevole. Mettiamo che Cameron perda il referendum Brexit, ipotesi del tutto plausibile secondo i sondaggi, anche se molti osservatori continuano a pensare che lo Stay vincerà. Se perde è fuori, deve lasciare il governo, probabilmente in mano al suo antagonista favorevole al Leave, Johnson. Ma è davvero così automatico? Per niente, anche perché il partito conservatore è profondamente spaccato pur mantenendo una maggioranza, almeno nei dirigenti, favorevole a rimanere nell’Unione. Chi sosterrebbe Johnson? I suoi anni di governo a Londra come sindaco sono stati eloquentemente spazzati via dalla vittoria del candidato laburista Sadiq Kahn alle recenti elezioni comunali, e dunque considerando la spaccatura nel partito e un umore popolare che probabilmente non lo sosterrebbe con un entusiasmo univoco la sua strada verso Downing street non sarebbe facilissima.
Cameron vince. La Brexit non ci sarà. Johnson sarebbe in evidente difficoltà, perderebbe il suo principale cavallo di battaglia e non potrebbe essere un leader credibile al tavolo del Consiglio europeo. Ma in difficoltà resterebbe anche il premier, che dovrà ricostruire il partito, prima diviso ed ora lacerato dalla campagna referendaria. Dovrà in qualche modo confermare di essere ancora il leader, di avere il sostegno oltre che degli elettori anche dei dirigenti. Comunque sia in caso di vittoria il partito euroscettico di Farage sarà enormemente rafforzato (viste le previsioni di un risultato sul filo di lana) e diventerà un elemento pesante nella politica britannica. I numeri del risultato ovviamente peseranno anche all’interno dei Tories, vincere di misura non basta a un leader per confermarsi.
Jonson è il primo attualmente nella fiducia dei cittadini britannici, seguito da Corbyn e poi da Farage. Se la Brexit non ci sarà l’Ukip manterrà e rafforzerà il suo ruolo. Ma se invece Farage vincesse? Perderebbe presa sugli elettori o sarà in grado di costruire una credibilità “di governo”? Diventerebbe quel che era il Partito Liberale, occasionalmente ago della bilancia nella formazione dei governi? Quel che è certo che che in buona misura continuerebbe a dettare l’agenda, come ha fatto in passato contribuendo decisamente alla decisione di Cameron di tenere il referendum Brexit. Dunque confusione sulla confusione.
Corbyn raccoglie più fiducia dagli elettori (molta di più) di quante ne raccolga Cameron, ma ha anche lui gravi problemi nel partito, che per una sostanziosa fetta non l’ha mai voluto al suo posto e per un’altra che è invece favorevole alla Brexit. Non è un’alternativa di governo credibile, non ha la forza di trascinare il partito e nemmeno gli elettori.
Uno scenario possibile dopo il referendum potrebbero essere delle elezioni anticipate, ma con chi alla guida dei due maggiori partiti? Con che progetto di ricompattamento delle truppe? Forse neanche questo passaggio sarà ritenuto raccomandabile.
La Scozia, poi, continuerà ad essere una spina nel fianco, per tutti. Pronta ad un nuovo referendum per l’indipendenza se vincerà la Brexit, e comunque già chiaramente lontana da Tories e Labour. Però gli scozzesi sono pochi e hanno poco peso nel parlamento nazionale. In tempi normali.
Dunque il risultato più probabile di questo referendum, comunque vada, sarà una Gran Bretagna indebolita e confusa, nella quale la legge elettorale concepita per garantire la governabilità potrebbe diventare un elemento assolutamente insufficiente allo scopo. O il risultato delle urne ribalterà ogni previsione consolidando ampiamente la partecipazione del regno all’Ue, oppure Cameron potrà essere ricordato come il premier che, forse più di ogni predecessore, ha messo in difficoltà il suo Paese.