Bruxelles – Una foto che ritrae una donna rom con un bambino in braccio, seduta su un marciapiede. E una domanda: “Cosa si nasconde dietro a quest’immagine?”. Ragionano in questo modo i giornalisti investigativi, si pongono domande che superano le frontiere tra Stati. Perché i Paesi hanno i confini, ma le storie no. A fare quest’esempio è stata Brigitte Alfter, reporter per il sito di giornalismo investigativo europeo journalismfund.eu, durante un’audizione pubblica organizzata dalla commissione controllo dei bilanci del Parlamento europeo.
Grazie a quella domanda si è sviluppato un reportage che ha smascherato il traffico di donne e minori rom gestito dalla malavita bulgara. Ci hanno lavorato giornalisti francesi, tedeschi e bulgari che hanno messo a repentaglio le loro stesse vite pur di far conoscere la storia. “Conosciamo la potenza di inchieste come quella dei Panama Papers, ma ci dimentichiamo che ogni giorno ci sono professionisti dell’informazione che lavorano su grandi storie”, ha ricordato Alfter. Il suo sito si finanzia grazie a fondi di alcuni governi e a donazioni di privati e punta tutto sull’indipendenza editoriale. Chi ha una proposta per un approfondimento compila l’ “application form” online e, se l’idea è buona, arriva il finanziamento per investigare. Deve essere tutto trasparente e senza poteri alle spalle.
La pensa come lei anche Tamás Bodoky, direttore di Atlatszo.hu, il sito che con i suoi giornalisti ha mappato i fondi dell’Unione europea per vedere dove e come vengono utilizzati. E soprattutto se lo si fa in modo lecito. La sua richiesta all’Europa è semplice e diretta: “Maggiore accesso per i giornalisti ai dati, in modo che i reporter possano davvero essere i cani da guardia della democrazia”.
Le indagini condotte in questi anni sono state molte e importanti, ma “fra i giornalisti dei vari Paesi manca ancora dialogo”, ha precisato Petr Holub, di Echo24.cz, il sito che più da vicino ha seguito lo scandalo della gestione dei fondi Ue da parte di Praga. “Solo quando tutti i media cechi ne iniziarono a parlare anche quelli degli altri stati mostrarono interesse, non prima”, ha ricordato. È dello stesso parere anche Daniela Schröder, giornalista indipendente che ha seguito con un team internazionale un’inchiesta sui danni dell’inquinamento nei Balcani. “Solo quando si è capito quanto fosse importante il reportage i giornali tedeschi hanno deciso di pubblicarlo in terza pagina”.