Laboratorio Austria. Il piccolo Paese centro europeo potrebbe essere un laboratorio, un esempio per lo meno, di quel che può succedere in Europa.
Cosa hanno fatto gli elettori austriaci? In sostanza hanno detto due cose: 1) i partiti tradizionali in questa fase non hanno più niente da dire, hanno perso credibilità e 2) la destra estrema, xenofoba e vicina ai movimenti più radicali non è (ancora) l’alternativa preferita. La prima di queste due cose l’hanno detta massicciamente gli austriaci, relegando le due forze tradizionali in queste elezioni presidenziali, messe insieme, a poco più del 22 per cento dei voti. La seconda l’hanno detta più sottovoce, con uno scarto minimo di voti, poco più di 30mila su sei milioni di elettori, ma mobilitandosi in massa, con una partecipazione al voto in deciso aumento sul primo turno, che ha toccato il 72 per cento.
Però questa vittoria è evidentemente precaria, gli europeisti, molti centristi, liberali e la sinistra sentono di avere, per un soffio, evitato una sconfitta bruciante, ma ben presto il problema in Austria si riproporrà, dato che il Paese entro il 2018 dovrà tornare al voto politico e sarà indispensabile che nel frattempo venga elaborato un nuovo progetto, “una nuova cultura politica”, come ha auspicato il neo presidente Alexander Van der Bellen. Che certo vorrebbe evitare di dover nominare primo ministro tra due anni proprio Norbert Hofer, il suo antagonista di oggi o Heinz-Christian Strache, presidente del partito Fpo, e ancora più estremista del candidato presidente della repubblica sconfitto (che lo avrebbe voluto nominare premier).
E’ una fotografia della situazione europea più generale. Un luce in fondo al tunnel esiste, l’Austria, per un soffio e con una grande mobilitazione, l’ha dimostrato, ma i cittadini dell’Unione sono evidentemente stanchi delle proposte dei partiti tradizionali, nessuno o quasi di questi vive giornate serene. E’ un problema di proposte, di idee, che in Austria si è risolto cambiando tutto, con gli elettori che hanno scelto un candidato “nuovo”, benché sia un signore di 72 anni e con un solido passato politico alle spalle. Ovviamente il problema non è nell’età dei leader politici, in sé questa significa poco, ma è un problema di avere nuove idee, nette e precise, chiare. I socialisti e i cristiano sociali al governo dell’Austria hanno cincischiato per lungo tempo sul tema che è la preoccupazione di questi mesi, l’immigrazione. Ci sono state spinte anti europee, poi rigurgiti polizieschi, minaccia di chiudere le frontiere, con continui passi avanti e indietro. I cittadini erano preoccupati e alla preoccupazione si è aggiunta confusione e volubilità ideologica. Questo non paga, ed è purtroppo frutto di un panico politico figlio della incapacità di rinnovamento intellettuale, strategico.
Come abbiamo scritto i prossimi sedici mesi saranno decisivi per l’Unione europea e questo vuol dire che non c’è più tempo da perdere. Gli elettori sono stanchi e preoccupati, le risposte devono arrivare subito senza creare nuove divisioni. Dall’Austria è arrivata un’altra risposta: il premier il cui partito è stato sconfitto alle presidenziali si è dimesso poco dopo il voto per tentare una ripartenza con un nuovo leader. C’è da sperare che anche in Francia, ad esempio, si lavori a nuovi candidati per le presidenziali, così come anche in Germania, dopo tre mandati, l’era Merkel è giunta al tramonto. Servono leader politici che offrano nuovo respiro, nuove risposte ai loro Paesi e al progetto europeo.