Bruxelles – Nel cuore dell’Europa si avvicina lo spettro della possibile nascita (o rinascita?) di una nuova Austria: per la prima volta dopo la fine del nazismo, il Paese potrebbe eleggere democraticamente un capo di Stato dalle file dell’estrema destra. Il verdetto sarà deciso questa domenica, quando gli austriaci si recheranno alle urne per scegliere tra il candidato della formazione estremista Partito della libertà, Norbert Hofer, o il suo rivale dei Verdi, Alexander Van der Bellen.
Hofer è riuscito a vincere il primo turno delle elezioni lo scorso mese, con il 35% dei voti, ma non è riuscito ad evitare il ballottaggio. In Austria la figura del presidente svolge per lo più una funzione cerimoniale, ma detiene anche il potere, una sola volta nell’arco del mandato, di far dimettere il governo senza passare dal Parlamento e la possibilità di nominare i cancellieri. Hofer si è sempre opposto alla visione del presidente come mero simbolo e ha lasciato spazio a cupi scenari affermando: “Lo vedrete”. Inoltre il suo partito non ha mai nascosto di voler unificare la funzione di presidente e quella di cancelliere, anche se per raggiungere tale risultato occorrerebbe procedere per via referendaria. Durante un dibattito televisivo, Van der Bellen ha direttamente accusato il candito del Partito della libertà di voler respingere qualsiasi governo che non risponda ai suoi interessi. Hofer ha risposto per le rime, affermando che proprio l’esponente dei Verdi ha dichiarato che rifiuterà un eventuale cancelliere del partito avversario, nel caso in cui quest’ultimo vincesse alle prossime elezioni generali nel 2018.
Per la prima volta dagli anni della seconda guerra mondiale, i candidati dei due principali partiti dell’Austria, i Socialdemocratici e il Partito popolare, non sono riusciti a conquistare uno posto nel ballottaggio. Si è trattata di una grande scossa per la politica del Paese europeo, dato che dal 1945 il ruolo di presidente è sempre stato ricoperto da un esponente di centro-sinistra o centro destra. Ma proprio il fatto che i socialdemocratici e il partito popolare abbiano sempre governato l’Austria, da soli o in coalizione, ha determinato l’impossibilità di considerarli come alternative l’uno all’altro. Insieme a questo, la decisione iniziale del governo di permettere ai migranti di attraversare i confini austriaci l’anno scorso, che ha generato 100mila domande di asilo in un Paese che conta 8,5 milioni di abitanti, ha determinato una polarizzazione sempre più marcata nella vita politica dell’Austria. E il Partito della libertà ha colto l’occasione, attaccando la politica migratoria e lo status quo del Paese rappresentato dalla “grande coalizione” dei due principali partiti austriaci (nata dalle ultime elezioni generali del 2013, ma in pratica al comando dal 1945).
Hofer, che afferma che i problemi del Paese saranno risolti con il Partito della libertà al potere, incarna pienamente il diffuso pensiero anti-europeista, anti-immigrati e anti-globalizzazione, cavalcando l’onda che si sta infrangendo tanto sull’Austria quanto sull’Europa intera. In Finlandia e Normandia i movimenti populisti sono riusciti ad entrare nelle coalizioni di governo, mentre stanno acquistando spazio nell’agenda politica della Danimarca e dei Paesi Bassi. In Germania il partito anti-immigrati Alternativa per la Germania ha trionfato nelle ultime consultazioni dei Lander, e in Croazia il ministro della cultura sta cercando di riabilitare l’idea fascista dell’ustascia. Se nel 2000 la formazione di una coalizione tra il Partito popolare centrista e il Partito della libertà in Austria ha sollevato in tutta Europa un senso di oltraggio, oggi, nell’Europa attuale, questa reazione non è più scontata.