dal nostro inviato
Strasburgo – Sul fatto che la Cina non debba essere considerata una economia di mercato gli eurodeputati europei sono piuttosto unanimi, ma il punto su cui non tutti sono d’accordo è sul cosa fare per evitare il riconoscimento automatico che Pechino insiste di dover avere. Il colosso asiatico sostiene che, secondo il protocollo di adesione all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) del 2001, dovrà essere riconosciuta automaticamente come un’economia di mercato da parte degli altri membri dell’organizzazione dal prossimo 11 dicembre. Allora dovrebbe scadere il periodo di transizione che, secondo il paragrafo 15 dell’accordo, autorizza gli altri membri del Wto ad utilizzare la “non-market economy methodology” nell’ambito delle indagini sulle pratiche antidumping. Eppure la Cina al momento soddisfa soltanto uno dei cinque criteri tecnici dell’Ue per ottenere l’ambito riconoscimento che ridurrebbe di molto la capacità dell’Europa di imporre sanzioni contro le importazioni a prezzi troppo bassi rispetto a quelli praticati dalle imprese comunitarie.
“Abbiamo tre strade davanti a noi”, ha affermato nel suo intervento in Aula a Strasburgo il commissario Vytenis Andriukaitis, “la prima è non fare nessun cambiamento nella nostra legislazione, ma questo porterebbe un alto rischio”, la seconda è “rimuovere china dalla lista del Paesi che non hanno una economia di mercato e applicare gli stessi standard sul dumping applicati agli altri Paesi”. L’analisi della Commissione su questa opzione “è che porterebbe alti costi in termini di perdite di posti del lavoro visto che l’Ue non potrebbe affrontare le distorsioni nel mercato cinese e non avrebbe le necessarie protezioni contro pratiche di commercio ingiuste”, ha avvertito Andriukaitis. La terza, per il commissario, è quella di “cambiare le metodologia anti-dumping, introducendo un nuovo approccio che manterrebbe un forte sistema di difesa del commercio”, seguendo un approccio “simile a quello degli Usa”.
“L’Europa non è affatto a trovare una sua posizione in merito, io contesto pesantemente questa affermazione”, attacca il co-presidente del Gruppo euroscettico Efdd David Borrelli. Parlando a Eunews l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle afferma che l’Europa deve “solo prendere atto che la Cina non è un’economia di mercato e non è obbligata a riconoscere nessun automatismo”. Piuttosto deve “sedersi a un tavolo con Pechino e il Wto e aprire una trattativa politica”, solo così “potrà tutelare davvero le imprese europee”. Un eventuale riconoscimento dello status alla Cina “in Italia avrebbe un impatto devastante, con settori come l’acciaio, la ceramica, il tessile, la chimica e tantissimi altri che sarebbero pesantemente colpiti dall’impossibilità di imporre dazi”, e “questa cosa non può succedere”, ha detto Borrelli.
“Non si tratta di concedere o meno lo status di economia di mercato alla Cina, sul fatto che questo non si debba fare siamo tutti d’accordo”, afferma Alessia Mosca del Pd, ma “si tratta di fare i conti con un dato oggettivo, ovvero che l’11 dicembre c’è la decadenza di un paragrafo del protocollo di adesione al Wto”, e il conseguente cambiamento di status della Cina all’interno dell’organizzazione. Parlando con Eunews Mosca spiega che servono “soluzioni tecniche che siano compatibili con le obbligazioni legali del Wto ma che ci consentano di proteggere davvero il nostro sistema industriale”, continua Mosca secondo cui l’Europa ha “margini di manovra per avere misure comunque efficaci ma modificando alcuni elementi tecnici, magari usando gli strumenti che usano gli altri partner come gli Stati Uniti”. Insomma per l’eurodeputata Pd “si tratta solo di una questione tecnica che si deve affrontata con efficacia e sostenibilità”.