Dal nostro inviato a Londra
Londra – Il voto su Brexit si avvicina e le associazioni a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea lanciano un grido di allarme sulla sanità. Secondo Vote Leave, infatti, il Regno Unito invia 350 milioni di Sterline ogni sette giorni a Bruxelles che “potrebbero essere usati per la costruzione di un nuovo ospedale a settimana”.
L’attenzione si è spostata sulla NHS (National Healt Security) che in questi giorni vede lo sciopero degli specializzandi in medicina in protesta per le ore di lavoro e la retribuzione. Lo sciopero ha visto l’adesione di circa il 75% degli operatori.
Nonostante l’astensione dal lavoro abbia creato notevoli disagi negli ospedali Inglesi (la disputa è solo inglese), secondo un sondaggio della Bbc, circa il 57% dei cittadini sostiene i giovani medici che hanno messo in campo una lotta a tutto campo con il ministro della sanità Jeremy Hunt.
L’appoggio della popolazione inglese agli specializzandi è facilmente intuibile, infatti, ci sono due cose che riescono a spostare l’opinione pubblica in UK: la monarchia e la sanità. Questo lascia intuire perché i comitati per l’uscita dall’Unione Europea, Brexiter, stiano facendo forza su questo punto reclamando una sanità migliore “7 days a week” e stiano cercando di prendere le difese dei giovani medici.
Le motivazioni di Vote Leave, il Comitato ufficiale per la campagna a favore di Brexit, si basano su uno studio della British Medical Association nel quale si sostiene che il problema dello sciopero è dovuto al “blocco degli aumenti automatici degli stipendi e si potrebbe risolvere trattenendo i soldi che ora vanno a Bruxelles”.
Il panorama è ancora molto incerto da una parte e dall’altra. Uno studio recente dell’Ocse riporta che se fosse Brexit i cittadini del Regno Unito perderebbero circa 4600 sterline all’anno pur “risolvendo” il problema dell’immigrazione, che sembra stare molto a cuore all’Ukip (United Kingdom Independent Party). Nonostante questo un sondaggio per il Times riporta le intenzioni di voto con un testa a testa: 42% per Brexit, 41% per rimanere.
I partiti sono piuttosto divisi e ognuno ha la propria corrente. Il Labour si divide tra gli “StrongerIn” per restare, e i “LabourGo” per l’uscita. Questi ultimi fanno parte del comitato Grassrootsout che raccoglie varie anime, dall’UKIP ai Tories. Sebbene alla camera siano solo 15 i favorevoli all’uscita, la maggior parte del malcontento risiede fuori dagli organi istituzionali.
Il partito conservatore (Tories) vede due personalità di spicco contrapporsi: Boris Johnson, sindaco di Londra uscente a favore di Brexit, e David Cameron, Primo ministro in perdita di consensi anche a causa dello scandalo Panama Papers. I conservatori sono il partito che vive la maggior divisione, Theresa May, Segretario di Stato per gli Affari Interni, nonostante il suo appoggio a Cameron sostiene che l’Uk dovrebbe uscire dalla Convenzione Europea per i Diritti Umani.
L’Ukip non ha dubbi; il partito per l’indipendenza del Regno Unito nasce con un forte orientamento euroscettico e non ha mai dimenticato di mostrare le proprie posizioni in sedi istituzionali e non, con il suo leader Nigel Farage
Sempre i “Brexiter”, secondo un sondaggio di YouGov, avrebbero guadagnato 3 punti percentuali in seguito all’endorsment del presidente degli Stati Uniti Barack Obama a favore della permanenza della Gran Bretagna nell’Ue. Al momento solo una cosa sembra chiara, i britannici non vogliono intromissioni nella propria vita politica.