di Costas Lapavitsas e Daniel Munevar
L’agitazione politica scatenatasi recentemente in Grecia dopo la pubblicazione da parte di WikiLeaks dei protocolli dell’FMI può essere spiegata da un’unica prospettiva: la Grecia non è in grado di soddisfare le condizioni del terzo accordo di bailout risalente al luglio 2015. Il programma di salvataggio è già fallito e tutte le parti ne sono consapevoli, anche se non lo ammettono pubblicamente.
È importante ricordare che l’accordo prevede il raggiungimento di un avanzo primario di bilancio per il 2018 pari al 3,5% del PIL. Nell’ultimo trimestre del 2015 l’economia greca è però ripiombata in recessione, ed i vari indicatori economici registrano una situazione catastrofica: il fatturato industriale è precipitato del 13,5%; il fatturato della vendita al dettaglio è sceso del 3,8%; la disoccupazione è aumentata al 24,4%; e i posti di lavoro disponibili in tutta l’economia, nell’ultimo trimestre del 2015, ammontavano alla misera cifra di 3.119. Le banche hanno a bilancio crediti inesigibili del valore di 115 miliardi, circa il 50% dei prestiti a bilancio.
Quando le misure di austerità previste dall’accordo di bailout inizieranno ad avere effetto, la domanda aggregata per il 2016-17 subirà una caduta significativa a causa dell’aumento delle tasse e del taglio delle pensioni. La recessione non potrà che peggiorare. Considerati questi elementi, è impossibile che un’economia devastata a tal punto possa raggiungere un avanzo primario nel 2018.
Il Fondo monetario internazionale
Il disastro greco è una brutta sorpresa per il Fondo monetario internazionale, soprattutto alla luce dei precedenti fallimenti dei programmi di salvataggio del 2010 e del 2012. L’FMI si è sbagliato nel calcolo sulle aspettative di crescita, ha avuto torto nel valutare i moltiplicatori fiscali ed era decisamente fuori strada nell’analizzare la posizione greca all’interno del mercato mondiale. Analizzando sobriamente la situazione, non si può negare che l’FMI abbia giocato un ruolo disastroso nella vicenda greca. A fronte di un impegno enorme, la perdita di credibilità è stata altrettanto significativa, e non possono essere sottovalutate le indiscrezioni sulla riluttanza del Fondo a persistere con strategie palesemente inutili. Se anche il terzo piano di salvataggio dovesse fallire, l’FMI rischia seriamente che i suoi clamorosi errori di calcolo diventino di pubblico dominio.
Di conseguenza, il Fondo sta spingendo per un’importante riduzione del debito greco nel tentativo di salvare anche solo una parte dell’accordo, senza però abbandonare l’approccio di base. A detta dell’FMI, una tale riduzione del debito deve essere comunque accompagnata da misure credibili e più severe nel breve termine, in modo da raggiungere almeno un avanzo primario dell’1,5% del PIL. Anche se questo non equivale a prendere le distanze dalle politiche di austerità, la differenza tra il nuovo obiettivo e quello precedente rappresenta una significativa distensione. Il Fondo sottolinea che il taglio del debito dovrebbe essere consistente per rendere i nuovi obiettivi fiscali compatibili con una situazione debitoria sostenibile. Secondo le stime del Fondo monetario del luglio 2015, uno scenario in cui l’avanzo primario greco scenda sotto il 2,5% del PIL richiederebbe sia «un taglio significativo del debito» che un allungamento delle scadenze del debito rimanente.
Al momento, l’FMI ha presentato ai leader europei due opzioni: mettere la testa sotto la sabbia e attaccarsi alle loro illusorie aspettative per il futuro – ma in questo caso l’istituto economico abbandonerebbe il programma – oppure accettare le condizioni dell’FMI in termini di obiettivi finanziari e di riduzione del debito, nel caso vogliano contare ancora sull’appoggio dell’istituto. Davanti ad una scelta di questo tipo, una crisi appare inevitabile.
Quello che probabilmente accadrà
Sembra, tuttavia, che l’esito dei negoziati dipenda anche da un altro gioco politico, quello in cui al momento si sta cimentando il primo ministro greco Tsipras. Gli attacchi del suo governo al Fondo monetario internazionale si basano sulla convinzione che l’istituto sia, nonostante tutta la sua autorità, sotto l’influenza dominante dei creditori europei.
Anche se la Grecia attuasse tutte le misure richieste dall’FMI, un effettivo sgravio del debito sarebbe comunque incerto. Per ottenere un taglio, l’FMI può fare ben poco oltre alla minaccia di abbandonare il programma. Se si dovesse giungere alla resa dei conti con i creditori europei, sembra plausibile uno scenario in cui la Germania lasci uscire l’FMI dalle trattative (dalla troika) pur di tenere la Grecia dentro la zona euro.
Di fronte a questa evenienza la discussione su un alleggerimento del debito sarebbe definitivamente fuori dai giochi. La Grecia dovrebbe quindi continuare a ricevere fondi di salvataggio, tentando di restare a galla mentre fa finta di seguire le istruzioni di Bruxelles. Il governo SYRIZA potrebbe così sperare di guadagnare ancora un po’ di tempo prezioso. Per il popolo greco, però, significherebbe continuare ad affondare in un inferno di stagnazione e povertà.
È tuttavia possibile che Angela Merkel ritenga politicamente impossibile escludere il Fondo dal programma. In questo caso toccherà prepararsi ad una nuova crisi della zona euro. Con un coltello puntato alla gola, il governo Tsipras sarebbe costretto ad accettare l’imposizione di severe misure a breve termine, mentre verrebbero messi in agenda provvedimenti di ristrutturazione del debito per rendere possibile un terzo bailout. In qualsiasi modo andrà a finire, è improbabile che si arrivi a un quarto piano di salvataggio.
Pubblicato sul blog di Heiner Flassbeck l’8 aprile 2016. Traduzione di Voci dall’Estero rivista Thomas Fazi.