di Carlo Clericetti
Il “dettaglio rivelatore”, nell’intervista che Ferdinando Giugliano di Repubblica ha fatto al presidente della Bundesbank Jens Weidmann, è in poche parole. Rivelatore del fatto che il banchiere centrale tedesco non è attendibile nella sua analisi della situazione: e siccome sarebbe davvero azzardato ipotizzare che sia un incompetente, la spiegazione che resta è che deformi volutamente la realtà. Ossia, per dirla in modo più brutale, che è in malafede. Quindi non è attendibile, e le sue iniziative non possono essere giudicate per come le motiva, ma dalle conseguenze che possono provocare, che sono evidentemente il vero scopo a cui cerca di arrivare.
Qual è la frase? Weidmann ha ripetuto come la crisi «sia stata in gran parte una crisi di fiducia nella solidità delle finanze pubbliche». Questa fu la spiegazione che si dette allora, nel 2011-12, quando gli spread dei paesi in difficoltà si impennavano, cosa che fu usata per imporre loro le riforme reazionarie che piacevano – e piacciono – a Berlino, alla BCE e alla Commissione. Chi non era allineato alla politica dell’austerità avanzò da subito un’altra spiegazione: non era una crisi di fiducia nelle finanze pubbliche, ma una scommessa della speculazione sulla rottura dell’euro. Non essendoci più le diverse monete, si compravano i titoli pubblici dei paesi che, se l’euro avesse ceduto, tornando a una moneta nazionale avrebbero subito una rivalutazione (Germania innanzi tutto) e si vendevano i titoli dei paesi la cui moneta nazionale si sarebbe invece svalutata. Se fosse accaduto, chi avesse avuto i titoli del primo tipo avrebbe fatto un bel guadagno. Per inciso, è stato allora che i sistemi bancari dei paesi sotto attacco si sono riempiti di titoli del loro debito pubblico – quello di cui ora l’ineffabile Weidmann dice di preoccuparsi – perché nessun altro li avrebbe comprati.
Accenniamo solo al fatto che anche questo attacco speculativo era motivato dal comportamento dei tedeschi verso la crisi greca, che aveva fatto pensare che l’euro non avrebbe retto. Ciò che importa di più nel discorso è che l’interpretazione alternativa era quella corretta. La prova? La speculazione cessò d’incanto non appena il presidente della BCE Mario Draghi pronunciò la famosa frase “whatever it takes”: faremo tutto quanto è necessario per difendere l’euro. Si badi bene, non per aiutare gli Stati in difficoltà (cosa peraltro vietata dallo statuto della BCE); per evitare la rottura dell’euro. Ormai nessuno, nemmeno gli economisti più “allineati”, ha più il fegato di affermare che la speculazione era mossa dal timore dei default (a cui comunque, se continuava in quel modo, era probabile che si arrivasse). Nessuno, tranne il signor Weidmann.
Quanto è attendibile una persona che continua a sostenere una tesi palesemente falsa? Zero. E se non è attendibile in questo, non è attendibile neanche quando afferma che l’euro non è reversibile, come ha fatto nel suo discorso all’ambasciata tedesca. Tutte le sue mosse sono sempre state tese ad arrivare a una rottura e, come si è detto, bisogna giudicarlo dai fatti e non dalle parole. Ora, bisogna dire che l’euro, nel contesto dei trattati e delle regole che guidano la UE, è una pessima cosa. Se si voleva una moneta unica sarebbero state necessarie molte altre cose (condivisione dei rischi, trasferimenti fra Stati, una diversa politica economica e via enumerando) che non solo non sono all’orizzonte, ma sono o già vietate dalle norme in vigore o drasticamente avversate dai tedeschi e dai loro alleati. Quindi, se domattina l’euro sparisse per incanto, ci sarebbe da brindare. Purtroppo, però, gli incantesimi ci sono solo nelle favole e se questo accadrà, cosa niente affatto esclusa vista la politica suicida dell’Europa, saranno dolori. Il problema aggiuntivo è che le ricette di Weidmann rischiano concretamente di provocare questo evento nel modo peggiore, cioè in seguito a una crisi che non si riesce a fronteggiare. Se il presidente della Bundesbank ci tiene tanto a riavere il suo deutsche mark, faccia un’altra cosa: convinca il suo paese ad uscirne. Sarebbe la soluzione meno peggiore.
Pubblicato su Repubblica il 27 aprile 2016.