Bruxelles – Gli expat britannici di lungo corso non avranno diritto di dire la loro sulla Brexit. È quanto ha stabilito l’Alta corte del Paese, chiamata ad esprimersi sul caso, dopo il ricorso presentato da un gruppo di cittadini che ha deciso di battersi contro la legge che afferma che coloro che non sono residenti nel Paese da oltre 15 anni non sono più ammessi a votare e dunque non potranno partecipare nemmeno al referendum per la permanenza del Paese nell’Unione europea. Una battaglia persa, visto che la Corte ha confermato la validità della legge anche nel caso della consultazione del 23 giugno, escludendo così di fatto dal voto circa 700 mila expat.
A sollevare il caso Harry Shindler, 94enne veterano della Seconda guerra mondiale, che ha partecipato allo sbarco di Anzio e da anni vive in Italia: “Sono deluso e rattristato che ci siano ancora persone nella Gran Bretagna democratica che devono ancora battersi per il diritto al voto”, protesta ora l’uomo. Secondo il suo avvocato, i diritti dei britannici residenti all’estero come cittadini dell’Unione europea in questo modo vengono violati. Tanto più che una eventuale Brexit colpirebbe per primi proprio gli expat. L’appartenenza del Regno Unito all’Ue, ricorda il legale, vuole dire che i cittadini possono vivere e lavorare in Europa, avere proprietà, andare in pensione e ricevere cure sanitarie in qualsiasi punto dell’Ue ma “uscire dall’Unione europea metterebbe in dubbio tutto questo e gli expat britannici diventeranno se sono fortunati, residenti stranieri”. Senza nemmeno avere avuto modo di esprimersi in materia.
La mancanza dei voti dei 700mila espatriati britannici potrebbe essere cruciale nel determinare i risultati del referendum visto che, secondo i sondaggi, la differenza tra i sì e i no in questo momento è minima e i tre quarti degli expat vorrebbe rimanere nell’Ue.