Bruxelles – Come combattere il terrorismo e la radicalizzazione, ma soprattutto come affrontare la sfida della de-radicalizzazione? Queste le domande principali che oggi sono state affrontate durante una conferenza organizzata dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, e dal vicepresidente Antonio Tajani (responsabile per il dialogo interreligioso). Gli ospiti presenti hanno focalizzato l’attenzione su come i musulmani europei affrontano il fenomeno della radicalizzazione e sul ruolo delle donne nel contrastarlo. “L’obiettivo di questa conferenza è dare loro la possibilità di testimoniare la loro opposizione al radicalismo e all’odio di matrice religiosa” ha dichiarato Tajani. Durante l’incontro si sono confrontate personalità che da tempo conducono una battaglia contro l’estremismo religioso praticando la tolleranza e combattendo l’estremismo “che non ha niente a che fare con la religione dell’Islam”.
“Il maggior numero di vittime della violenza estremista e del terrorismo islamico sono i musulmani stessi: dobbiamo unire le nostre forze e denunciare insieme tutte le forme di violenza che cercano una giustificazione religiosa. Sono convinto che le comunità musulmane in Europa e nel mondo condividono questo spirito” ha affermato il vicepresidente Tajani. Proprio per questo è fondamentale distinguere tra i due concetti: “L’Islam chiede rispetto per gli altri. L’Isis prende in ostaggio questa religione ed ha come obiettivo principale proprio i musulmani”. Il vicepresidente ha evidenziato che “la de-radicalizzazione è la strada maestra. Ma de-radicalizzazione non significa tagliare le radici ma ritornare alle vere radici”. In questo contesto la parola chiave è il dialogo e l’Unione europea deve avere in questo un ruolo di primo piano. Le comunità musulmane stesse devono diventare le piattaforme da cui parte il processo perché “il terrorismo islamico non ha niente a che fare con le basi pacifiche dell’Islam. Chi spara in nome di Dio, spara contro Dio” ha concluso il vicepresidente.
In questa lotta il ruolo delle donne è fondamentale, rappresentando i primi testimoni ed interlocutori all’interno della famiglia. Le donne devono rappresentare la punta di diamante di questa sfida contro la radicalizzazione e devono essere sensibilizzate al loro compito. Malika Hamidi, direttore generale della Rete musulmana europea, ha sottolineato come, finalmente, il ruolo femminile sta cambiando posizione, “passando da vittima del terrorismo ad attrice del cambiamento. Oggi le donne sono riconosciute come strumenti di prevenzione. Le mamme sono le prime a poter notare e segnalare i segni di radicalizzazione”. Hamidi ha però portato alla luce una mancanza di coinvolgimento delle donne da un punto di vista intellettuale, nella costruzione di un “contro-discorso” in contrasto con il radicalismo: “Le donne sono viste come madri e figlie ma non come cittadine che possano sviluppare un ‘contro-messaggio’. E invece vorrebbero essere ascoltate e coinvolte sul piano culturale e politico”.
Con una diversa prospettiva, la fondatrice dell’Associazione giovanile per la pace “Imad ibn Ziaten”, Latifa Ibn Ziaten, ha concentrato l’attenzione sulle mancanze dell’istruzione e della buona educazione. “A scuola si dimenticano i bambini. Se fossero seguiti sarebbe possibile capirne i problemi. Alle superiori è troppo tardi”. “I giovani vanno inquadrati” mentre troppo spesso vengono “parcheggiati” in istituti tecnici per cui non hanno nessun interesse, cominciano a non andare a scuola e a ritrovarsi per strada, sempre più sensibili al proselitismo estremista. E gli estremismi traggono linfa vitale dai ragazzi che crescono senza controllo. Latifa ha riportato testimonianze di giovani che hanno confessato di aver deciso di convertirsi all’Islam perché non si sentivano amati dalla famiglia o perché i genitori erano alcolizzati. “I giovani convertiti all’Islam hanno bisogno di aiuto. Bisogna parlare della loro sofferenza. Non hanno più sogni e speranza”. Per questo è fondamentale dare l’attenzione necessaria ai figli, “mettersi a cena intorno ad un tavolo la sera e parlare di cosa è successo durante la giornata”. E anche Ziaten presenta il dialogo come chiave di volta: “Ho parlato con dei giovani in Palestina e in Israele che non conoscevano la religione dell’altro. Così ho cambiato la loro vita. Dobbiamo fare un passo l’uno verso l’altro e conoscere la religione del nostro prossimo”. La fondatrice di Imad ibn Ziaten ha ribadito: “L’Islam è una religione come le altre, è una religione personale. Possiamo praticare la nostra religione e insegnarla ai nostri figli rispettando la libertà e i valori degli altri”.