Bruxelles – “Narrami, o giornalista, del portafoglio dall’aspetto capiente, che tanto vagò, dopo che fu rubato in un quartiere di Bruxelles”. Così comincia l’Odissea del mio inseparabile borsellino e dei suoi compagni documenti, in seguito al furto avvenuto sabato scorso, nella capitale belga mentre ero intenta a scegliere delle carote al mercato Abattoir.
Mi sono accorta subito di essere stata derubata e avendo individuato una persona che mi si era avvicinata in modo sospetto, ho pensato di chiamare un poliziotto per far perquisire il potenziale scippatore. Già da qui cominciano le prime imprese: gli agenti a cui mi sono rivolta mi hanno domandato se questa era una minaccia globale. Alla mia risposta “no” sono stata invitata a cercare altri colleghi in quanto il loro compito era solo occuparsi dell’antiterrorismo. E nonostante sia riuscita a trovare altri colleghi (raggiungendo il numero di 4 poliziotti coinvolti), questi non avevano la possibilità di perquisire il malfattore.
Il quinto e il sesto poliziotto che sono riuscita a trovare, mentre il mio sospetto pazientemente attendeva senza essere minacciato da nessuno, potevano (finalmente) portare avanti l’operazione. Ma la persona in questione non aveva il portafoglio (effettivamente aveva avuto anche molto tempo per sbarazzarsene). Quindi sono stata portata dentro una macchina della polizia dove ho rilasciato la denuncia e i miei dati. Dall’automobile sono uscita con un misero post-it, con scritto sopra un numero di telefono da chiamare per sapere quando ritirare la denuncia e l’indirizzo del luogo dove recarmi.
Da quel momento sono passate 24 ore in cui sono stata senza documenti e senza una denuncia che attestasse il furto. E in quelle 24 ore ho chiamato innumerevoli volte le cifre impresse sul foglietto, come una Penelope che disfa e ritesse la tela, ogni volta per sentirmi dire che non avevano alcuna denuncia a mio nome, che l’ufficio era chiuso (guai a farsi scippare nel fine settimana!), che avevo sbagliato numero e che dovevo solo pazientare. Poi il silenzio. Alla fine ho deciso di recarmi personalmente all’indirizzo. Lì, con grande meraviglia, il documento è stato stampato in 2 minuti (anche se, in base alla legge belga, contiene solo l’informazione che ho presentato una denuncia, ma per cosa non c’è scritto e pare non si possa avere nulla di meglio). Comunque un passo avanti.
Passo avanti? Sì, ma le fatiche continuano. E a questo punto della storia entra in scena l’aiutante. Dopo essere stato gettato lungo la strada dal ladro, il portafoglio è stato ritrovato da una signora. Ma qui si presenta la complicazione: la strada in questione si trova in un diverso comune da dove l’oggetto è stato preso, anche se la distanza tra i due luoghi è di 1,4 km, 17 minuti a piedi. Questo breve tragitto ha fatto la differenza. La gentile signora che ha ritrovato il borsellino si è impegnata nel contattarmi. Ha rintracciato il mio nome dalle carte all’interno del portafoglio, mi ha scritto su Facebook e mi ha cercato su Google, tanto da mandare una e-mail alla redazione per cui lavoro. Essendo sabato mi sono accorta di questi messaggi solo lunedì. La signora, nel frattempo, non avendo mia risposta ha pensato che fosse meglio consegnare il portafoglio a chi di dovere. Cioè la polizia.
Dal momento in cui è entrato nelle mani del poliziotto che la signora ha incrociato nella strada, del mio portafoglio non ho più avuto notizie. Da lunedì ho provato a chiamare innumerevoli volte tutte le divisioni, l’ufficio centrale e l’ufficio oggetti ritrovati. Ma del borsellino (e dei miei documenti!) non c’è traccia. In queste conversazioni telefoniche ho però appreso alcune informazioni molto “stravaganti” sul funzionamento della polizia qui. Prima di tutto se rilasci la denuncia in un comune, nel mio caso Anderlecht, i commissariati di altri comuni non hanno nei loro database né la denuncia né i tuoi dati. Perciò dato che il mio portafoglio è stato consegnato a Bruxelles centro, i commissariati non hanno le mie informazioni nelle loro banche dati. Quando mi sono recata di persona al commissariato centrale e ho chiesto se potevano chiamare loro le altre divisioni mi è stato risposto che “non è questo il protocollo”. Inoltre più volte sono stata invitata a pazientare e ad aspettare “magari due o tre settimane”, perché è normale che ci voglia tempo. Molto tempo. Così mi sono ritrovata a “navigare” in un Paese straniero, con l’allerta terrorismo e senza documenti. Per aggiunta, l’unico poliziotto che si è gentilmente preso in carico la mia situazione mi ha confessato che “qualche volta altri colleghi non fanno il loro lavoro e se trovano qualcosa per strada è possibile che lo chiudano in un cassetto senza darne notizia”. Ed è cosi che il mio portafoglio si trova disperso in qualche meandro dei commissariati di Bruxelles 1000 (il cap). Solo ( o forse in compagnia di altri?) e probabilmente svuotato. Riuscirà il prode portafoglio a ritornare alla sua amata Itaca? To be continued…