Bruxelles – Più che le sanzioni è la trasparenza l’arma più efficace per battere l’evasione fiscale delle multinazionali, e questo è tanto più vero dopo l’esplosione dello scandalo dei Panama Papers. In un’audizione al Parlamento europeo il commissario per i Mercati finanziari, Jonathan Hill, ha parlato della proposta dell’esecutivo della scorsa settimana affermando che “il potenziale impatto della trasparenza sulle aziende, per quanto riguarda consumatori e azionisti, è molto più grande di una mera sanzione”, in quanto “se porti via investitori, azionisti e consumatori da un’azienda questo può veramente avere un grande effetto”. Secondo il piano della Commissione le imprese con un fatturato di oltre 750 milioni di euro saranno tenute a comunicare l’ammontare complessivo delle tasse che pagano fuori dall’Ue, fornendo informazioni specifiche per le imposte versate nei paradisi fiscali. Queste informazioni dovranno essere rese disponibili, per un periodo di cinque anni su un sito Internet della società, in modo che chiunque sia interessato, cittadini o giornalisti, possa sapere dove e quanto pagano di tasse le multinazionali.
“Noi saremo la prima giurisdizione al mondo a fare una cosa del genere”, ha rivendicato Hill secondo cui il provvedimento “incoraggerà le imprese a considerare se lavorano nell’interesse a lungo termine dei loro azionisti da un punto di vista della reputazione”, una operazione “salutare”, che “aiuta a costruire la fiducia”. Le sanzioni saranno comunque previste per chi viola le regole, ma “sta agli Stati membri stabilirle in modo che siano efficaci, proporzionate e dissuasive”.
La direttiva dell’esecutivo punterà soprattutto a mettere le multinazionali davanti a quella che Hill definisce “la corte dell’opinione pubblica”. Questo, ha continuato il commissario, “ci permetterà di concentrarci su una questione chiave”, e cioè “come avere un livello equo per tutti e tutelare competitività delle Pmi”. Hill ha ricordato che “è stato stimato che le multinazionali pagano un terzo di tasse in meno delle compagnie più piccole che operano solo in un Paese”, una cosa che non può “essere giusta dal punto di vista della competitività e dell’equità”, e che nasce dal fatto che “le imprese più piccole non hanno consiglieri fiscali che le aiutino a minimizzare le tasse”, e quindi nei fatti “le piccole aziende pagano anche per le multinazionali”, perché “se alcuni pagano meno tasse vuol dire che altri ne dovranno pagare di più”. “Io sono a favore di una concorrenza”, ha concluso il commissario, “su servizi, prezzi, qualità e innovazione e non sulla creatività dei consiglieri fiscali”.