La lunga strada verso… cosa?
Il New York Times offre oggi un’interessante cronologia dei voti continentali: in Europa, sull’Europa. A partire dal voto inglese del 5 giugno del 1975, quando il Regno Unito per voto popolare si unì definitivamente alla Comunità Economica Europea (alla quale aveva aderito nel 1973), ai due voti danesi sul trattato di Maastricht nel 1992 e 1993, passando per il rifiuto svedese della moneta unica nel 1993, il rifiuto francese e tedesco della Costituzione Europea nel 2005…una lunga strada che finisce (per ora) al bivio della Brexit. Wait and see.
Todo sobre la Brexit
Secondo il Guardian, il voto di giugno sarà essenzialmente un voto fra il mantenimento dello status quo – cioè l’appartenenza all’Unione Europea – e il cambiamento. E dato che ogni cambiamento comporta necessariamente dei rischi, è giusto, anzi doveroso, che i fautori della permanenza nell’Unione sottolineino l’esistenza dei rischi connessi ad un uscita: negare questi rischi, accusando i pro-Ue di crearli ad hoc attraverso un fantomatico “Project Fear,” è semplicemente un modo di negare la realtà. Reality check, anyone?
Non solo Parigi, non solo Bruxelles
Dalle colonne di El País, Jean Marie Colombani ci ricorda che fra gli attentati di Parigi e quelli di Bruxelles il mondo ha assistito ad almeno altri venti attacchi terroristici. Secondo ciò che dicono gli esperti, ciò sarebbe un segnale dell’indebolimento dell’Isis in Siria e in Iraq – ciò che pare aver beneficiato – se così si può dire – dalla situazione è il populismo in occidente. Gli attacchi rafforzano il dibattito, la polemica, lasciando purtroppo in secondo piano l’analisi della realtà. I movimenti populisti sono alla ricerca di una sorta di “salvatore” – ed ecco allora che all’orizzonte si profilano i Trump, le Le Pen, i Salvini.
Ma dove vanno… i siriani?
A causa dei forti flussi migratori che stanno attualmente colpendo l’Europa, è fin troppo facile credere che i migranti che scappano dall’inferno della Siria poi restino nelle nazioni di arrivo, come Italia e Grecia: non è affatto così, ci ricorda The Conversation. 13.500.000 Siriani sono “displaced”, cioè hanno abbandonato le loro case e le loro città per fuggire alla violenza, e di questi 4.800.000 sono fuggiti dalla loro patria, per finire poi soprattutto in Libano, Giordania e Turchia.
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