Bruxelles – Che il giornalismo tradizionale fosse in crisi è noto da molto tempo, così come è nota la “responsabilità” di internet in questa crisi. Meno evidente, forse, è il fatto che tale trasformazione, se lasciata a se stessa, rischia di minare l’indipendenza dell’informazione, comportando conseguenze negative per la stessa democrazia. Queste questioni, rilevanti per chi ha a cuore la salute dell’informazione, sono state affrontate da giornalisti e eurodeputati europei, insieme a una più generale riflessione sulla sua evoluzione e sul ruolo del giornalismo investigativo, nel corso della conferenza “An Alternative Media Landscape for Europe”, tenutasi nei giorni scorsi al Parlamento europeo e organizzata dal gruppo parlamentare Gue/Ngl.
“La trasformazione in atto del mondo dei media apre nuovi scenari” tra cui figura la progressiva scomparsa della “professione di giornalista indipendente”, ha spiegato il giornalista ed europarlamentare Curzio Maltese. Tale prospettiva non è ammissibile, ha puntualizzato Maltese, dal momento che “l’informazione indipendente va pensata come un bene comune, come l’acqua e l’energia” e come tale va preservata e “garantita in tutti i modi”, pena un grave e inammissibile “danno per la democrazia”. “Rispetto a 20 anni fa”, ricorda ancora Maltese, le condizioni di chi fa informazione oggi sono precarie e incerte, addirittura drammatiche, come sottolineato da tutti i convenuti. Giovanni Melogli, presidente dell’International Alliance of Journalists ha ricordato che, nonostante la crescita esponenziale delle attività UE, il numero di corrispondenti esteri a Bruxelles è diminuito, dal 2015, da 1.300 a 900. In tutta Europa sono in forte aumento, invece, i freelance, che costituiscono oltre la metà dei giornalisti complessivi di Francia e Germania, secondo altri dati emersi nel corso della conferenza. Per l’Italia i numeri sono impressionanti: negli ultimi 20 anni si è assistito ad un aumento di oltre il 750% di giornalisti senza editore. E di questi, oltre la metà ha guadagnato nel 2014 meno di 10.000 euro l’anno.
Una delle principali conseguenze di questo fenomeno complessivo è, per l’appunto, la perdita di indipendenza e obiettività dell’informazione dal momento che, come spiega Maltese, “a mettersi, da freelance, contro grandi organizzazioni o aziende si rischia la galera o enormi spese in tribunale. A nessuno dovrebbe essere chiesto di essere un eroe per fare il proprio mestiere”. Secondo Julian Assange, fondatore di Wikileaks che è intervenuto in videoconferenza nel corso dell’incontro, il problema dell’imparzialità deriva dal fatto che “la maggior parte dei media oggi sono intrappolati” tra la necessità di dover “influenzare il pubblico e quella di sottostare a vincoli finanziari”. Devono quindi appoggiarsi a “industriali, fondazioni politiche e oligarchi”che, per forza di cose ne minano l’imparzialità. A questo si aggiunge, spiega il creatore di Wikileaks, il problema che deriva dalla progressiva “formazione di megagruppi editoriali come Google, vale a dire un mercato monopolista”, con tutte le conseguenze che questo comporta (si pensi, ad esempio, a quanti milioni di ricerche vengano fatte ogni giorno su Google e al fatto che la stessa Google controlla il 70% della pubblicità del settore, ovvero del suo “ossigeno”).
Un problema, quello della formazione di concentrazioni, rilevato anche dal giornalista italiano Gad Lerner, che ha ricordato che in Italia “solo negli ultimi mesi sono andate in porto tre concentrazioni editoriali” tra le quali spiccano quelle dei colossi Mondadori e Rizzoli e la fusione recentemente annunciata tra “l’Espresso” e“Itedi”.
Per la giornalista turca Sezin Oney il problema principale riguarda invece i media governativi o paragovernativi, che definisce come “geneticamente modificati”, perché “non ci lavorano veri giornalisti, ma pr del governo”.
Si va quindi, verso l’irrimediabile asservimento del giornalismo? Non tutto sembra perduto e inevitabile. Le soluzioni sembrano delinearsi e sono diverse. Una di queste potrebbe essere quella coinvolgere direttamente l’Unione Europea nel problema. Secondo Assange, l’Ue “deve difendere i propri cittadini, tutelando la libertà di parola dall’alto della propria condizione super partes e con la propria autorevolezza, come “facciamo noi “whistleblower” (in modo bottom up) a WikiLeaks, perché nessun governo nazionale tende a proteggere chi lo critica”. Secondo Giovanni Melogli, l’Ue “ha le competenze per difendere l’indipendenza dei media” e si augura che nei prossimi anni essa “sviluppi gli strumenti per intervenire sugli stati membri dove c’è una violazione e avvii una ricerca da essa finanziata che miri ad aiutare gli Stati membri ad adottare modelli socioeconomici di finanziamento sostenibile dei media”. Un’altra soluzione – sostiene lo stesso Melogli – potrebbe essere quella di dedicare risorse “all’educazione ai media” in modo da “garantire così una domanda di informazione di qualità”. Sulla stessa linea Gad Lerner propone un finanziamento pubblico e istituzionale per l’informazione e l’educazione dei cittadini, senza la quale, sostiene , i giornalisti delle nuove generazione saranno “precari asserviti chiamati a produrre un’informazione superficiale e non obiettiva”.