Bruxelles – Anche gli eurodeputati del gruppo dei Socialisti e democratici al Parlamento europeo si uniscono alle condanne che stanno piovendo da più parti sulla discussa proposta per introdurre, in Polonia, un divieto totale di aborto. L’attuale legge polacca sull’aborto è una delle più restrittive in Europa e consente l’interruzione di gravidanza soltanto in tre circostanze: se il feto è affetto da patologie gravi o incurabili, se la gravidanza è frutto di un reato come violenza o incesto o se questa mette a rischio la vita della madre. Ora, però, un movimento cittadino contrario all’aborto sta raccogliendo le firme per proporre un cambiamento della legge in direzione ancora più restrittiva: la possibilità di aborto sarebbe completamente abolita e sarebbe introdotta nell’ordinamento una nuova categoria di reato, l’omicidio prenatale, punibile con il carcere dai tre ai cinque anni per le donne, i medici, o chiunque aiuti a compiere un’interruzione di gravidanza.
Diversi membri del partito conservatore al governo (Pis), dalla premier Beata Szydlo al leader storico, Jaroslaw Kaczynski, si sono detti favorevoli a restaurare le radici cristiane del Paese. Se fosse raccolto il numero sufficiente di firme per portare la proposta in Parlamento, ci sono buone chances che questa possa diventare legge, visto che il Pis detiene un’ampia maggioranza.
Gli eurodeputati socialisti si definiscono indignati dal progetto e dichiarano di sostenere le manifestazioni che saranno organizzate nel corso del weekend in diverse città d’Europa in solidarietà con la richiesta delle donne polacche di fermare questa iniziativa. “Nei nostri tempi moderni, nessuna donna, nessun dottore e nessuno in generale dovrebbe andare in carcere per avere commesso o aiutato a commettere un aborto”, protesta il leader S&D, Gianni Pittella. “Noi come socialisti ci opponiamo a questa forma di oscurantismo di un’altra epoca”, sottolinea l’eurodeputato, chiarendo: “Come socialisti non possiamo stare a guardare di fronte violazioni così drammatiche dei diritti delle donne in uno Stato membro dell’Ue”.