Mentre un irresponsabile burocrate olandese invita i dipendenti comunali a non indossare la minigonna per non turbare la sensibilità di qualche mussulmano arrapato e sancisce così con la carta bollata la limitazione della libertà individuale delle donne olandesi per tutelare l’inciviltà e la sopraffazione della più volgare misoginia, in Egitto succede anche di peggio. Non parlo del tragico caso Regeni, che comunque sta facendo tremare il regime di Al-Sisi, ma del ben più futile episodio accaduto al fuoriclasse Leo Messi. Invitato ad uno show televisivo, la Pulce ha regalato alla conduttrice le sue scarpe da calcio per destinarle a un’asta di beneficienza. La cinepresa ha dunque ampiamente inquadrato le calzature del campione. E lì è scoppiato in finimondo. Perché nella cultura araba mostrare le scarpe è segno di disprezzo. Telespettatori oltraggiati hanno telefonato al canale televisivo per protestare e perfino la Federcalcio egiziana ha gridato allo scandalo, accusando Messi di umiliare gli egiziani con il suo gesto. Per fortuna che il giocatore egiziano Hossam Mido è poi intervenuto a dissipare l’equivoco e a garantire la totale buona fede del troppo generoso Messi. Viene da chiedersi che fine farebbe nel mondo mussulmano la povera Cenerentola appena si presentasse dal principe a mostrargli la scarpina… Gliela tirerebbe dietro assieme ai suoi stivali?
Questo episodio ci pone ancora una volta davanti alla questione del dialogo interculturale. Abbiamo fatto di questo concetto il nostro principio fondamentale nell’avvicinamento all’altro. Un dialogo per capirsi, per dissipare equivoci, per trovare un terreno comune che porti infine ad una coscienza condivisa. Cosa di più giusto? Il grande errore sta nel fatto che mentre noi per condurre questo dialogo partiamo dal piano dello stato di diritto e delle libertà fondamentali, alcuni dei nostri interlocutori partono dai loro principi, inconciliabili con i nostri valori perché fondati sulla pretesa di una verità religiosa incontestabile dalla ragione. Questo non è un dialogo, non c’è scambio qui, c’è un’ingiunzione. Prima di parlare con noi, i nostri interlocutori ci chiedono di rinunciare ai fondamenti della nostra civiltà. Si, ho detto civiltà. La parità di genere, la libertà sessuale, l’uguaglianza, la tutela dell’integrità fisica di ogni individuo, la laicità dello Stato non sono principi che possiamo mettere in discussione. Viene allora il dubbio che con certi gruppi il dialogo sia semplicemente impossibile perché è un concetto inesistente nella loro cultura. È opinione dominante oggi in Europa che si debba dialogare con tutti, anche con quelli che non rispettano i nostri valori, come la Turchia di Erdogan, dove la libertà di stampa è calpestata e lo stato di diritto è vacillante, o come il governo tagliagole dell’Arabia Saudita, secondo la logica che parlare è comunque sempre mantenere una porta aperta. Sorvolando sull’ipocrisia di certi dialoghi a sfondo petrolifero.
Questo atteggiamento può anche avere un suo valore e una sua opportunità. Ma solo a patto che si ponga un limite a quello che siamo disposti a accettare. Dobbiamo cominciare ad avere il coraggio di dire che tutti sono i benvenuti in Europa, ma non coloro che non si adattano al nostro modo di vivere. Il verbo “migrare” deriva dall’antico greco “ameibein” che significa “cambiare”. Non si può dunque migrare senza cambiare. La migrazione comporta un adattamento, una trasformazione. Piaccia o no ai fanatici del politicamente corretto. Certo anche noi dobbiamo essere disposti al cambiamento e assorbire la cultura di questi nuovi europei. Ma non avremmo nulla di buono da dare a questa gente se ci snaturassimo per essere accomodanti a regole tribali e disumane. Se migranti da tutto il mondo vengono da noi perché apprezzano il nostro modo di vita, perché lo trovano attraente, sono i benvenuti. Siamo pronti a mescolarci a loro. Ne usciremo tutti uomini migliori. Se invece vengono per sfuggire alla guerra e alla distruzione ma non sono disposti ad accettare il nostro modo di vita, li dobbiamo certo accogliere, perché questa è umanità, è il nostro dovere internazionale. Ma faremmo un torto a noi e a loro facendoli vivere qui. Dobbiamo invece aiutarli a ricostruire i loro paesi e lasciare che là tornino, a vivere come credono giusto. A me piacciono molto le mie scarpe. Me le lucido tutte le mattine. Non vorrei che questo un giorno potesse offendere qualcuno.