All’ormai infinito novero degli episodi di tracollo dello stato belga si aggiunge oggi anche il litigio fra il sindaco di Bruxelles e la polizia federale per il mancato contenimento dei 300 teppisti che hanno invaso Place de la Bourse la domenica di Pasqua minacciando i brussellesi di ogni credo in raccoglimento nel ricordo delle vittime degli attentati. Poche ore dopo è arrivata la notizia che ben prima degli attentati la polizia belga era stata informata che nel covo di Abaaoud ad Atene erano state trovate mappe dell’aeroporto di Zaventem. Fonti di “Le Monde” e di “Haaretz” rivelano che il Belgio sapeva dai tempi dell’operazione di Verviers che erano in preparazione attentati contro l’aeroporto di Zaventem e la metropolitana brussellese. Inutile stare ad elencare le altre flagranti mancanze della polizia e dei servizi segreti che sono venute alla luce in questi giorni. Difficile ora trattenersi dal constatare che lo Stato federale belga sta dando prova di grande debolezza e quasi di incapacità di controllare il proprio territorio. Ma quel che fa ancora più paura è che nessuno in Belgio sembra scandalizzarsene. Giornali e televisioni mitigano la gravità dei fatti presentando un’informazione quasi di regime che si accanisce ad evidenziare successi là dove ci sono solo fallimenti, incongruenze e incapacità. Il comune cittadino belga, anzi suddito, è importante precisarlo, sembra accettare con rassegnazione i fatti, come un’inesorabilità del destino. Forse questo è un segno di forza della società belga che non si fa impaurire e sopraffare dalle emozioni. Forse è invece indolenza, rassegnazione alle dispute di potere fra fiamminghi e francofoni che rendono lo Stato un ostaggio inefficiente e da cui ci si consola con il sempre inaffondabile umorismo belga. Vero che, se anche lo volessero, i belgi non saprebbero dove andare a protestare, se davanti al governo federale, quello brussellese, oppure davanti al quartier generale di una delle sei polizie brussellesi o della gendarmeria, o ancora davanti alla sede di uno dei sei parlamenti regionali belgi. Ma fra tutti gli sconcertanti esempi di aperta collisione fra diversi apparati dello stato, la protesta del sindaco di Bruxelles contro il governo federale acquisisce una particolare importanza. Mostra innanzitutto che Bruxelles esiste, che si è scrollata di dosso la sua maledizione di territorio conteso fra francofoni e fiamminghi per diventare una regione a pieno titolo, con interessi propri e specifici, ormai divergenti da quelli della altre regioni. Bruxelles che non doveva esistere e che doveva presto o tardi essere spartita fra i due contendenti del nord e del sud o addirittura conquistata dalla Fiandra, ha ora un carattere proprio, quasi una sua identità, fatta del suo carattere multietnico e della sua internazionalità di capitale europea. Bruxelles è una città anomala, belga ma non belga, come New York non è gli Stati Uniti, come Istanbul non è la Turchia. Ma allora perché non farne il primo territorio europeo? Come avrebbe dovuto essere la regione tedesca della Saar nel Dopoguerra. Prendiamo Bruxelles a questi incapaci dei politici belgi, salviamola dai loro litigi, dal loro egoismo, dalle loro bassezze politiche e facciamone il Distrinct of Columbia di una futura federazione europea. Che i cittadini, e non i sudditi, di Bruxelles, quelli di ogni nazionalità che ci abitano e ci vivono si eleggano il loro sindaco e il loro governo, che il nuovo europeo nasca qui, sulle ceneri di uno stato che non esiste più.
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