Dopo gli attentati di Bruxelles serve una risposta seria dalla politica. Su due piani: la collaborazione vera tra stati e la condivisione dei cittadini.
Il terrorismo non si sconfigge con misure di sicurezza estreme, che ovviamente in alcuni casi servono, ma con l’intelligence, con l’infiltrazione, con la conoscenza, con lo scambio di informazioni. E questo è il primo livello. Tutti i capi di governo europei che hanno parlato oggi, dopo la strage di Bruxelles hanno citato la necessità di essere uniti, della solidarietà. Alcuni, come Matteo Renzi, hanno chiamato l’Unione europea alle sue responsabilità. Ecco, diciamoci la verità, detto che l’Unione europea, come tale, non ha praticamente nessun potere in questo campo, che gli stati hanno riservato, forse anche giustamente, alla loro competenza, va anche detto che appelli simili ne abbiamo sentiti tanti, ma di collaborazione ancora se ne vede poca.
I servizi segreti sono gelosi delle proprie informazioni, magari passano qualcosa ai paesi amici (tranne poi scoprire quanto si spiino in maniera incrociata) ma, è qui è il nocciolo, non si fanno ricerche insieme, non si lavora a comporre il mosaico. Una piccola informazione, all’apparenza insignificante, raccolta in Slovenia, se condivisa con altre simili trovate in Austria, in Francia o in Germania può fornire invece una pista decisiva. Nel caso del Belgio tutto, uomini, armi, esplosivi, ha viaggiato per mezza Europa, ha passato confini, controlli, ma poi si scopre che nulla era stato messo a sistema, che un’identificazione della polizia austriaca non era mai arrivata a quella belga o francese.
Renzi e gli altri capi di stato o di governo europei che chiamano alla solidarietà e all’unità dovrebbero fare un passo vero verso la collaborazione, tocca a loro, non al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Sono i capi dei governi che possono davvero dare il via ad un processo virtuoso.
Poi c’è il secondo aspetto, i cittadini. François Hollande, il presidente francese, lo ha detto: serviranno nuove leggi, che tutelino nel contempo sicurezza e libertà. Spesso queste due cose si limitano l’un l’altra, maggiore sicurezza spesso vuol dire maggiori controlli, dunque libertà di movimento per lo meno più lenta, bambini, come è successo a mio figlio di sette anni, che si vedono una pistola giocattolo da cow boy sequestrata in aeroporto. Per questo ci vuole condivisione, la politica deve fare la sua parte, assumersi le sue responsabilità, ma trovando il consenso dei cittadini, altrimenti il meccanismo di sicurezza non potrà funzionare, gli animi si scalderanno, l’intolleranza cieca e soprattutto inutile prenderà il sopravvento.