Bruxelles – Questa volta la Brexit non c’entra, e anzi, “l’Europa” non ha responsabilità. Ma la battaglia sarà in tutto il continente e punta a salvare il formaggio Stilton tradizionale.
Lo Stilton, uno dei più nobili e antichi formaggi inglesi, è attualmente prodotto da sei caseifici di grandi dimensioni che miscelano latte proveniente da vari allevamenti e producono ogni anno oltre un milione di forme. La versione tradizionale a latte crudo di questo formaggio è invece prodotta da un unico casaro, Joe Schneider, che lavora solo il latte delle vacche del proprio allevamento.
Eppure il formaggio a latte crudo di Joe Schneider non può aderire alla DOP nè essere chiamato Stilton, poiché il disciplinare di produzione – definito nel 1996 dalla Stilton Cheese Makers Association – impone la pastorizzazione del latte. Per questo il formaggio a latte crudo di Joe Schneider si trova oggi sul mercato come “stichelton”, dal nome del villaggio in cui storicamente era prodotto.
Slow Food ha lanciato una petizione e ha deciso di istituire il Presidio per la difesa della produzione tradizionale a latte crudo dello Stilton. L’obiettivo è rivendicare la legittimità della richiesta avanzata da Joe Schneider al Ministero dell’Agricoltura inglese di modificare il disciplinare di produzione e consentire anche a chi lavora latte crudo di poter far parte della DOP.
“Non c’è più nessuno che produca Stilton a latte crudo”, racconta Joe, “So bene che sono i grandi produttori a reggere l’economia del Paese, ma è allarmante che la politica pensi a proteggere solo gli interessi dei grandi affari e non dei piccoli produttori. La DOP appartiene al popolo inglese, e a quello europeo, non alle grandi compagnie.”
Shane Holland, Responsabile di Slow Food nel Regno Unito, afferma che “è di vitale importanza che anche la produzione con il latte crudo sia ammessa nella Dop dello Stilton, per consentire a un metodo praticato da secoli di continuare a esistere. Limitando le pratiche tradizionali perdiamo parte del nostro patrimonio agricolo e gastronomico – e questo ci impoverisce”.
Secondo Piero Sardo, Presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità, “da un lato abbiamo chi sostiene che il procedimento industriale garantisce igiene, prezzi bassi, grande disponibilità di prodotto, sapori costanti; dall’altra chi, come Slow Food, afferma che questo sistema ha provocato un’avvilente omologazione dei gusti, una perdita di biodiversità animale, una drammatica scomparsa di saperi tradizionali. Un latte pastorizzato non ha più nulla di vivo e per trasformarsi in formaggio necessita dell’aggiunta di fermenti, altrimenti il caglio non agisce. Negli ultimi anni, in alcuni Paesi, si è formata una coscienza diffusa di consumatori avveduti che considera la lavorazione a latte crudo un valore sociale e culturale, oltre che una specificità produttiva.”
Il Regno Unito è il paese che più impone la pastorizzazione nei disciplinari delle proprie DOP (in proporzione al totale delle DOP del Paese): 5 DOP inglesi su 10 obbligano a pastorizzare, mentre 4 DOP consentono entrambe le pratiche (latte crudo o pastorizzazione) e una sola richiede latte non pastorizzato, il Bonchester Cheese. Una strategia controcorrente: i Paesi che più puntano sulla valorizzazione del patrimonio caseario – Francia, Italia, Portogallo, Svizzera – prevedono infatti il latte crudo come punto fermo.
Slow Food porta avanti da anni una battaglia in difesa del latte crudo e ha avviato finora oltre 80 Presìdi per valorizzare i formaggi tradizionali a latte crudo, molti dei quali sono tutelati anche dalla Denominazione di origine protetta.
In molti casi la convivenza fra Presidio e Denominazione di origine europea è pacifica e proficua, sostengono a Slow Food, come nel caso dell’Emmentaler in Svizzera e del Piacentinu ennese in Italia.
Se si analizza lo stato delle DOP europee, emerge che i disciplinari di produzione nel 39% dei casi obbligano i produttori a usare latte crudo e solo l’8% delle DOP dei formaggi impongono la pastorizzazione. Il 53% dei disciplinari di DOP non dà tuttavia alcuna indicazione in merito al trattamento termico del latte. Questa ambiguità, com’è facilmente intuibile, spalanca le porte alla produzione industriale, con latte pastorizzato e fermenti selezionati alloctoni.