L’avvicinarsi del referendum sulle trivellazioni porta alla luce vecchie contraddizioni da cui questo paese sembra non essere capace di uscire mai.
Lo strumento del referendum dovrebbe servire a consultare una società su grandi questioni etiche, come fu quella sul divorzio, non su materie tecniche per le quali i comuni cittadini non hanno nessuna competenza. Io non ne so nulla di petrolio e ancor meno di trivellazioni in mare, eppure il 17 aprile il mio parere varrà quanto quello di un ingegnere dell’Eni. Saremmo disposti ad andare a chiedere al bar come farci operare di appendicite? Questo è quello che stiamo facendo con il referendum sulle trivellazioni. Una decisione simile dovrebbe essere presa da esperti, che si presumono non corrotti e competenti, come accade in tutti i paesi moderni.
Paghiamo con le nostre tasse fior di amministratori e dirigenti nei ministeri preposti. Dovrebbero essere loro capaci di decidere, valutando tutte le implicazioni, energetiche e ambientali, su una materia tanto tecnica. A fare di una questione simile una scelta da referendum la si trasforma inesorabilmente in una contesa politica e siccome siamo in Italia, dilaga poi un altro dei nostri fragorosi difetti: la disinformazione. Prevale da entrambe le parti l’eccesso. I contrari gridano alla catastrofe ecologica, presagiscono mari cristallini trasformarsi in pozze nere e candide spiagge impiastricciate di petrolio. I favorevoli agitano lo spauracchio della catastrofe economica, sciami di disoccupati ridotti all’elemosina. Da nessuna parte si tiene un serio ed equilibrato dibattito. La sfida è, come al solito da noi, ideologica ma senza idee.
Avvenne lo stesso con il referendum sul nucleare, quando rinunciammo ad una nostra eccellenza tecnologica e ci precludemmo la via ad una fonte energetica affidabile senza per questo sfuggire ai pericoli della contaminazione nucleare, perché siamo circondati da paesi che hanno decine di centrali nucleari in funzione e da cui addirittura comperiamo energia a caro prezzo. La tanto adita crescita passa anche da qui. Che il nucleare oggi abbia esaurito il suo interesse e comporti più rischi che vantaggi è un altro paio di maniche. Anche questa, materia che non va decisa a furor di popolo. Oggi la Germania ha chiuso 22 delle sue 30 centrali nucleari, non per referendum ma con una decisione del governo in una svolta energetica epocale, condotta da esperti, non da quattro amici al bar. Uno degli slogan più patetici della campagna contro le trivellazioni è forse quello che inneggia all’oro blu contro l’oro nero, alludendo alla risorsa dei nostri mari. È vero che il nostro mare potrebbe essere una preziosa risorsa economica se già non lo avessimo deturpato con abusi edilizi, grandi navi, discariche, pesca industriale ed altre abominazioni. Ma sul punto specifico, invito questi sognatori a fare un pieno di acqua marina alla prossima gita domenicale e vedere fin dove arrivano. Il nostro stile di vita, dalle piccole alle grandi cose, richiede grandi consumi energetici.
Siamo disposti a cambiarlo? Qui dovrebbe porsi il dibattito e allora sì farsi etico, considerando una diversa strategia energetica e diversi comportamenti individuali. La Danimarca è un paese piccolo, neanche 6 milioni di abitanti, ma quest’inverno per qualche giorno è stata autosufficiente utilizzando solamente pale eoliche e maree. C’è da aggiungere che le tasse sull’automobile in Danimarca sono fra e più alte del mondo. Interi quartieri di certe città tedesche sono senza automobili, e le strade sono state trasformate in giardini, non per qualche astruso ZTL ma perché non ce n’è più bisogno. Gli abitanti hanno rinunciato al loro vecchio stile di vita. Ora le auto le condividono e le tengono in parcheggi sotterranei, collegati da navette elettriche. Noi invece facciamo referendum. Ma attenzione, anche quelli costano e bisogna poterseli permettere! Quando saremo rimasti senza petrolio non faremo più neanche quelli.