di Vincenzo Comito
La teoria finanziaria assume che tassi di interesse negativi incoraggiano le banche a prestare i soldi a tassi più bassi e i risparmiatori ad aumentare i consumi, spingendo in giù il tasso di cambio, anche perché verrebbe scoraggiato l’afflusso di capitali dall’estero.
Ma la realtà delle cose non appare del tutto come previsto sui libri. Il credito e i consumi non stanno aumentando adeguatamente, le variazioni nei cambi o non sono significative o non hanno grandi conseguenze. In particolare, nonostante gli sforzi molto rilevanti delle banche centrali, l’aumento del credito, al di fuori degli Stati Uniti, è stato nel tempo molto debole (The Economist, 2016, a).
Per altro verso, il governatore della Bank of England, Mark Carney, ha dichiarato di recente che l’economia globale rischia di essere intrappolata in una situazione di equilibrio fatta di bassa crescita, bassa inflazione, bassi tassi di interesse. Si potrebbero aggiungere all’elenco anche un basso livello di investimenti pubblici e privati, un basso livello di aumento della produttività, dei salari stagnanti.
Un importante inconveniente delle presenti tendenze è di natura psicologica. I mercati finanziari vedono in effetti le ultime mosse delle banche centrali come delle decisioni disperate, che danneggiano la stabilità economica e finanziaria dei vari paesi.
Un altro aspetto delle conseguenze attribuibili alle misure di aumento delle liquidità delle banche centrali e al conseguente credito facile è quello che esse contribuiscono a far aumentare le diseguaglianze di reddito e di patrimonio, portando ad un gonfiamento del valore degli asset. Per altro verso sia El-Erian che Artus-Virard sottolineano come le grandi liquidità e i bassi tassi di interesse preparano in qualche modo la crisi futura in quanto contribuiscono in misura rilevante alla formazione delle bolle finanziarie (Charrel, 2016, b). Queste potrebbero spingere il mondo verso una depressione simile a quella degli anni Trenta del Novecento. In un certo senso, così, le banche centrali oggi giocano un ruolo di pompieri piromani (Albert, 2016).
Per altro verso, l’eccesso di liquidità appare propizia a grandi spostamenti di capitali da una classe di attività ad un’altra, da un paese ad un altro, con i rischi conseguenti (Artus, Virard, 2016). Le banche centrali dovrebbero quindi pensare di meno ad alzare l’inflazione, per controllare invece di più i prezzi degli asset e i movimenti di capitale a breve termine.
Si verifica poi una riduzione che può essere anche molto rilevante dei profitti delle banche. Intanto esse saranno spinte a far pagare un interesse sui fondi depositati dai clienti. Ma se questi ultimi reagiranno mantenendosi strette le liquidità o depositandole in magazzini blindati, di cosa vivranno le banche, almeno quelle di credito ordinario? D’altro canto, tassi bassi sono comunque una sciagura per gli istituti, almeno quelli di credito ordinario, che ottengono di solito una gran parte dei loro profitti dall’esistenza di un congruo margine tra tassi attivi e passivi, margine che oggi appare ridotto per necessità al minimo. Non si possono accumulare così quei fondi che servono al rafforzamento patrimoniale. E, tra l’altro, di questi giorni la forte protesta contro la BCE portata avanti dalle casse di risparmio tedesche, che vedono in effetti i loro margini di manovra ridotti quasi a zero.
Chi tra i risparmiatori contava poi sui rendimenti forniti dalle polizze vita o dai fondi pensione per assicurarsi magari una tranquilla vecchiaia si trova ora di fronte a gravi problemi. Dal canto loro, anche i conti delle imprese assicurative, che sono obbligate di norma ad impiegare una parte rilevante dei loro attivi in titoli, si troveranno progressivamente nei guai.
L’helicopter money, l’ultima spiaggia
Per molti versi una nuova recessione appare probabile (Wolf, 2016; Press Association, 2016). Cosa potrebbero fare a quel punto le banche centrali? Una azione che si potrebbe certamente intraprendere è quella di varare un più importante livello di QE. Se oggi la banca del Giappone ha un totale di bilancio pari al 70% del PIL del paese, si può andare in quella direzione. Si potrebbe spingere ancora sui tassi negativi, ma è palese dalle esperienze fatte che gran parte della moneta creata resta bloccata nei circuiti finanziari.
Uno strumento nuovo sarebbe invece quello dell’helicopter money: emissioni monetarie distribuite a tutti i cittadini con lo scopo di promuovere l’acquisto di beni e servizi da parte dei privati o anche da parte del governo. L’ipotesi può sembrare stravagante. Ma diversi esperti studiano la questione da tempo e la trovano plausibile. Si pensi al caso di Adair Turner, accademico, membro della camera dei Lord, già presidente dell’autorità di controllo dei mercati finanziari, della Confindustria britannica e della commissione per le pensioni e, d’altro canto, a quello di Jeremy Corbyn.
Il primo, in un suo volume recente (Turner, 2015; Cassidy, 2015), partendo dalla constatazione che il QE si è dimostrato largamente insufficiente a produrre una adeguato livello di sviluppo e che comunque esso presenta degli inconvenienti, suggerisce che i paesi che si trovano di fronte a una situazione caratterizzata da bassi livelli di crescita, bassi tassi di interesse, debiti elevati, dovrebbero prendere in considerazione una misura radicale ma semplice: creare moneta e distribuirla al popolo. La domanda di beni e servizi ne riceverebbe un forte impulso e il livello dello stimolo sarebbe proporzionale al valore della nuova moneta creata. Per evitare però che i politici prendano l’abitudine, Turner propone di collocare il potere di usare le rotative elettroniche esclusivamente nelle mani delle banche centrali.
Anche Ray Dalio, considerato il più bravo gestore di hedge fund a livello mondiale, conscio dell’inefficacia ormai patente delle politiche sin qui perseguite, domanda misure nuove, che vanno dalle banche centrali che finanziano direttamente la spesa pubblica sino al versamento di denaro direttamente alle famiglie (Wigglesworth, 2016). Infine, un gruppo di 65 economisti ha lanciato la stessa idea di un “QE per il popolo” (Charrel, 2016, c). Si trovano d’accordo anche Martin Wolf e Wolfgang Münchau, tra i più autorevoli commentatori del Financial Times.
Si possono certo fare delle obiezioni alla proposta. La prima riguarda il pericolo che tale misura scateni un forte livello di inflazione; si può rispondere che nell’attuale situazione deflazionistica questo può essere un fatto positivo, purché ovviamente non si abusi della misura. D’altro canto, in un’economia mondializzata, nella quale i paesi low-cost a manodopera abbondante sono legioni, l’esplosione dei prezzi dei prodotti non appare più possibile (Charrel, 2016, c).
L’altra obiezione è quella che, in certi paesi, mentre la domanda verrebbe stimolata, si creerebbero forti pressioni sulla bilancia dei pagamenti, nel senso che in quelli industrialmente meno avanzati una parte consistente del bottino verrebbe usato in larga parte per acquistare merci estere.
Ebbene, riconoscendo che, più in generale, non verrebbe risolto il problema delle eventuali debolezze di struttura di un’economia, accanto alla distribuzione di denaro alla popolazione si tratterebbe anche, ad esempio nell’eurozona, di preparare piani di sviluppo che prevedano grandi investimenti, molto più corposi e convenienti del famigerato piano Juncker, rivolti in particolare da una parte alla riconversione delle economie in senso ecologico, dall’altra alla ristrutturazione e riqualificazione dell’economia dei paesi più deboli.
Alla fine non si vede quali controindicazioni serie ci sarebbero nei confronti delle misure indicate, vista la situazione di alto livello di indebitamento e di lento sviluppo, nonché l’alto rischio, che un esteso periodo di stagnazione economica potrebbe portare anche ai sistemi democratici occidentali (Cassidy, 2015) e di cui si registrano già i primi segni.
Conclusioni
Il malessere dell’economia appare oggi diffuso e la domanda sul che fare non sembra trovare risposte adeguate. Attualmente, anche di fronte all’aggravarsi della situazione, mentre la fiducia nella politica monetaria è profondamente scossa, la politica continua ad essere inerte e i suoi rappresentanti appaiono troppo deboli, troppo litigiosi (The Economist, 2016, b) e con le idee confuse. Ci vorrebbe forse un’altra crisi per farli scuotere.
Per riprendere l’espressione di El-Erian, noi abbiamo certamente bisogno di un sistema nel quale le banche centrali non siano il solo gioco disponibile in città; appare necessario che delle politiche budgetarie espansionistiche e possibilmente coordinate tra i vari paesi e con le politiche monetarie, come di recente hanno raccomandato anche l’OCSE e il Fondo monetario, nonché forti stimoli a favore di aumenti salariali (The Economist, 2016, b), prendano la guida del gioco.
Ma intanto, in assenza di decisioni dei governi, quelle delle banche centrali stanno acquisendo inevitabilmente un carattere sempre più politico; la fissazione di tassi negativi, ad esempio, è come decidere di imporre una tassa sui depositi (McCrum, 2016). Ma chi ha eletto a suo tempo Draghi, Yellen, Kuroda, Carney? O le elezioni non servono più a nulla?
Resterebbe comunque, in assenza persistente di interventi dei governi, un’ultima arma alle banche centrali, l’helicopter money. D’altro canto, per utilizzarla, avrebbero comunque bisogno dell’avallo della politica, come imporrebbe il carattere democratico dei paesi interessati, ma si troverebbero probabilmente di fronte alle voci ostili, tra gli altri, dei tedeschi e dei repubblicani USA.
Qualcuno riuscirà alla fine a trovare e ad imporre una via d’uscita?
Pubblicato su Sbilanciamoci! l’11 marzo 2016.
—
Testi citati nell’articolo
Albert E., “Les marchés accros à la dette depuis trente ans”, Le Monde, 24 febbraio 2016.
Artus P., Virard M.-P., La folie des banques centrales, Fayard, Parigi, 2016.
Cassidy J., “Printing money”, New Yorker, 23 novembre 2015.
Charrel M., “De la monnaie pour le peuple”, Le Monde, 22 febbraio 2016, c.
El-Erian M., The only game in town. Central banks, instability and avoiding the next collapse, Random House, New York, 2016.
McCrum D., “The limit of bank power is politics, not economics”, Financial Times, 25 febbraio 2016.
Mervyn King, “New financial crisis is ‘certain’ without reform of banks”, Guardian, 28 febbraio 2016.
The Economist, “Unfamiliar ways forward”, 20 febbraio 2016, a.
The Economist, “Out of ammo?”, 20 febbraio 2016, b.
Turner A., Between debt and the devil: money, credit and fixing global finance, Princeton University Press, Princeton, 2015.
Wigglesworth R., “‘Helicopter money’ on the horizon, says Ray Dalio”, Financial Times, 18 febbraio 2016.
Wolf M., “Why it would be easy to prepare for the next recession”, Financial Times, 4 febbraio 2016.