Bruxelles – Il regolamento Dublino III consente agli Stati membri di inviare un richiedente protezione internazionale in un paese terzo sicuro, indipendentemente dal fatto che si tratti dello Stato membro competente per l’esame della domanda o di un altro Stato membro. Questo diritto può anche essere esercitato da uno Stato membro dopo che quest’ultimo abbia dichiarato di essere competente per l’esame della domanda, in applicazione di tale regolamento e nell’ambito della procedura di ripresa in carico. Lo afferma oggi la Corte di giustizia del’Ue in una sentenza che da un deciso sostegno alla posizione della Commissione e del Consiglio Ue riguardo agli aspetti legali dell’accordo in discussione con la Turchia.
Shiraz Baig Mirza, un cittadino pakistano, è entrato illegalmente nel territorio ungherese dalla Serbia nell’agosto 2015. Il 7 agosto 2015 ha presentato una prima domanda di protezione internazionale in Ungheria. Nel corso della procedura, Mirza ha lasciato il luogo di soggiorno che gli era stato assegnato dalle autorità ungheresi. Il 9 ottobre 2015 queste hanno chiuso l’esame della domanda in quanto la stessa era stata ritenuta implicitamente ritirata dal richiedente.
Successivamente, Mirza è stato fermato nella Repubblica ceca mentre tentava di raggiungere l’Austria. Le autorità ceche hanno chiesto all’Ungheria di riprendere l’interessato, richiesta che è stata accolta dall’Ungheria. Mirza ha quindi presentato una seconda domanda di protezione internazionale in Ungheria, ma il 19 novembre 2015, le autorità ungheresi hanno respinto la richiesta in quanto “irricevibile”, senza esaminarne il merito. Esse ritenevano infatti che, per il richiedente, la Serbia dovesse essere qualificata come paese terzo sicuro.
Mirza ha presentato ricorso dinanzi al Debreceni Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Debrecen, Ungheria), che si è rivolto alla Corte di giustizia per sapere se Mirza possa essere inviato in un paese terzo sicuro sebbene le autorità ceche sembrino non essere state informate riguardo alla normativa e alla prassi ungheresi che consistono nel trasferire i richiedenti protezione internazionale in paesi terzi sicuri.
Poiché Mirza è attualmente trattenuto, la causa è stata sottoposta al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto dal regolamento di procedura della Corte.
Con la sua sentenza la Corte osserva, anzitutto, che “il diritto di inviare un richiedente protezione internazionale in un paese terzo sicuro può parimenti essere esercitato da uno Stato membro dopo che quest’ultimo abbia dichiarato di essere competente, in applicazione del regolamento Dublino III e nell’ambito della procedura di ripresa in carico, per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente che ha lasciato tale Stato membro prima di una decisione sul merito della sua prima domanda di protezione internazionale”.
La Corte constata, poi, che, nell’ambito della procedura di ripresa in carico di un richiedente protezione internazionale, “il regolamento Dublino III non impone allo Stato membro competente (l’Ungheria) un obbligo d’informare lo Stato membro che provvede al trasferimento (la Repubblica ceca) circa il contenuto della sua normativa nazionale in materia di invio di richiedenti in Paesi terzi sicuri o della sua prassi amministrativa in materia”.
La Corte sottolinea, inoltre, che un’assenza di comunicazione al riguardo tra i due Stati interessati non pregiudica il diritto del richiedente a un ricorso effettivo contro la decisione di trasferimento e contro la decisione sulla domanda di protezione internazionale, come garantito dal diritto dell’Unione.
Infine, la Corte statuisce che “il diritto del richiedente protezione internazionale di ottenere, in una situazione come quella del caso di specie, una decisione definitiva circa la propria domanda, sia nell’ambito della procedura che è stata interrotta, sia nell’ambito di una nuova procedura che non sarà trattata come domanda reiterata, non comporta né che lo Stato membro competente sia privato della possibilità di dichiarare la domanda irricevibile né che ad esso venga imposto di riprendere l’esame della domanda a una fase particolare della procedura”.