Bruxelles – Se dieci giorni fa, colto di sorpresa, aveva dovuto giocare in difesa, questa volta il fronte europeo vuole lanciare la controffensiva. Si preannuncia acceso il confronto tra Unione europea e Turchia al vertice in programma venerdì a Bruxelles per provare a trovare una strategia comune con cui bloccare il flusso di migranti in arrivo attraverso l’Egeo. Se nella teoria l’obiettivo sarebbe quello di limare i dettagli e sigillare l’intesa, nella pratica nessuno pensa sarà così semplice. Nella sua lettera di invito, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk lo ammette apertamente: “Il lavoro sta procedendo ma c’è ancora molto da fare” e “il catalogo dei temi da risolvere prima di poter concludere un accordo è lungo”, avverte.
Già, perché i leader europei non sembrano affatto intenzionati a fare entrare senza discutere le proposte turche nel testo finale dell’accordo. Lo scorso Consiglio europeo era accaduto perché la mossa a sorpresa di Ankara, che si era presentata a Bruxelles con un testo completamente nuovo, aveva scardinato il normale iter dei negoziati. I leader, presi alla sprovvista e per guadagnare tempo, avevano optato per una dichiarazione finale che i diplomatici stessi definiscono “pastrocchiata”, che includeva sia il testo concordato dai ventotto, sia le proposte turche senza soluzione di continuità in un documento in cui il paragrafo finale smentiva quello iniziale. Ma questa volta le cose dovrebbero andare diversamente: “In qualche misura abbiamo avuto un’offensiva turca a cui abbiamo resistito e questa è un po’ una controffensiva”, spiegano fonti europee.
A tracciare il sentiero della reazione europea, un non-paper messo a punto dal presidente del Consiglio europeo, che tenta di tracciare i principi per superare le obiezioni politiche e legali all’accordo, ma ridimensionando, e di parecchio, le concessioni alla Turchia. Quelle economiche innanzitutto. Ankara chiedeva altri tre miliardi, oltre ai tre già concordati, per la gestione dei campi profughi, da qui al 2018, ma venerdì l’Ue dovrebbe frenare: ok a velocizzare l’esborso dei primi tre miliardi, ma si deciderà su versamenti aggiuntivi solo in un secondo momento, quando si potrà verificare come è stata usata la prima tranche di aiuti e che risultati questo ha portato.
L’Unione dovrebbe frenare anche sui reinsediamenti di rifugiati siriani direttamente dai campi profughi turchi verso gli Stati membri. Secondo il principio proposto da Ankara, per ogni siriano rimandato in Turchia, uno ne dovrebbe essere trasferito in Europa. Ma l’Ue, per il momento, è pronta a mettere a disposizione soltanto una manciata di posti: si parla in particolare dei 18mila posti non utilizzati nell’ambito del piano da 22mila reinsediamenti concordato lo scorso novembre più altri 54mila posti che facevano inizialmente parte del piano di relocation (i trasferimenti interni all’Ue) che l’Ungheria ha rinunciato a sfruttare. In totale fanno 72mila posti.
Son pochi, pochissimi, sia per convincere Ankara a riprendere davvero tutti quelli che sbarcano sulle isole greche, sia per convincere i siriani a non partire in modo illegale per la Grecia, visto che della prospettiva di un reinsediamento potrà beneficiare solo una piccolissima percentuale. Se i numeri dei ritorni dovessero eccedere questa cifra, secondo il presidente del Consiglio europeo, “l’accordo sarà soggetto a revisione”. Insomma, tutto da ridiscutere. Ai pochi posti messi a disposizione per l’accoglienza si rimedierà con lo schema di reinsediamenti volontari a cui una decina di Stati membri avevano garantito di essere pronti a contribuire? Soltanto in un secondo momento, quando “gli attraversamenti irregolari tra Turchia e Ue siano giunti a un termine” frena ancora il non-paper di Tusk. Per il presidente del Consiglio, quelle di cui si discute, sono misure “temporanee e straordinarie necessarie per porre fine alla sofferenza umana e restaurare l’ordine publico”.
Il testo lascia fuori per il momento altri due temi, ancora più problematici. Uno è la liberalizzazione dei visti, che la Turchia vorrebbe accelerare. La scorsa settimana si è parlato della fine di giugno, ma lo slancio non piace a tutti. Diversi Stati insistono perché non si prendano scorciatoie e anche il Parlamento europeo potrebbe mettersi di traverso. Anche se si dovesse mettere nero su bianco l’obiettivo di fine giugno, dunque, tutto dipenderà dal rispetto dei criteri fissati per tutti che nessuno è intenzionato ad ammorbidire. Sono in tutto 72 e fino ad ora Ankara è in linea con solo 35.
C’è poi il grosso scoglio dell’apertura di cinque nuovi capitoli negoziali per l’adesione di Ankara all’Ue. Il tema per la Turchia è centrale ma Cipro ha chiarito di essere pronta ad opporsi strenuamente. È su questo punto che si rischia lo scontro più acceso. “La mia convinzione è che dobbiamo trovare un modo di usare il processo per il rilancio delle relazioni Ue-Turchia, che va ben oltre l’immigrazione, in modo che diventi anche un’opportunità per supportare i negoziati di pace a Cipro”e “solo se questo è possibile – avverte Tusk – possiamo andare avanti”.