Roma – “Sì a un accordo con la Turchia, ma non a tutti i costi”. È questa la posizione che il premier italiano, Matteo Renzi, porterà al Consiglio europeo di domani e dopodomani che dovrà finalizzare l’intesa con Ankara sul piano d’azione per arginare il flusso di migranti verso l’Ue. Per Renzi, è necessario garantire che su “diritti umani e libertà di stampa”, l’Ue mantenga una “salda coerenza con i propri valori”.
Intervenendo alla Camera dei deputati per le consuete comunicazioni in vista di un vertice europeo – nel pomeriggio replicherà al Senato –, il capo dell’esecutivo ricorda che quello di domani sarà “il terzo Consiglio europeo in un mese per parlare sostanzialmente delle stesse cose”. Il tema della gestione dei flussi migratori, infatti, è all’ordine del giorno già dal Vertice di febbraio. E se ancora i 28 sono costretti a riunirsi sull’argomento, “è il segnale che qualcosa non va”, e che “le istituzioni europee hanno bisogno di nuova energia e di un deciso cambiamento di organizzazione dei propri lavori”.
Il problema vero, denuncia Renzi, è “l’incapacità dell’Ue di attuare le decisioni prese”. L’accusa è che mentre “gli hotspot sono stati fatti” come prevedeva l’agenda proposta dalla Commissione e accolta (non senza resistenze) dal Consiglio, “relocation e rimpatri comuni ancora no”. Quindi, al di là del pur importante accordo con Ankara, per il premier “il primo tema da affrontare è la capacità di mettere in pratica le decisioni prese”. Altrimenti, spiega, “l’Europa è capace di andare su Marte ma si ferma a Idomeni”, dove migliaia di profughi attendono nel fango di ricevere protezione da un continente che però tentenna.
Alla riunione di domani, i capi di Stato o di governo dei 28 parleranno “anche di crescita”, sottolinea Renzi. Il presidente del Consiglio non usa mezzi termini nel condannare “il Fiscal compact e le altre regole” sulla disciplina di bilancio, che “hanno portato danni alla direzione economica dell’Europa”. Rivendica ancora una volta il merito di aver “affermato il principio della flessibilità” sul quale “si fonda l’accordo che ha portato alla nomina di Jean-Claude Juncker” alla presidenza della Commissione europea. Un’intesa nella quale “tutti e tre i gruppi (Ppe, Pse e Alde, ndr) sono decisivi”, sottolinea come a ricordare il peso dei socialisti, e del suo Pd al loro interno, per la tenuta della maggioranza all’Europarlamento.
Il punto che il capo del governo vuol far passare è l’estensione della flessibilità alle spese per la cultura. Non lo dice espressamente, ma è una logica conseguenza del suo discorso. “Il principio che per ogni euro speso in sicurezza va speso un euro in cultura”, grazie all’impulso dato dall’Italia nel vertice del Pse di sabato scorso a Parigi, “è già patrimonio del socialismo europeo, ma deve diventare patrimonio di tutti”. Dunque, se per le spese in sicurezza è riconosciuta la flessibilità per la straordinarietà della minaccia terroristica, anche le spese in cultura, altra faccia del contrasto alla radicalizzazione, devono stare fuori dal patto di stabilità.
Per impartire una rotta diversa all’economica europea, indica il capo dell’esecutivo, “non bastano le straordinarie misure positive della Bce”, ma “bisogna mettere più soldi in tasca” ai cittadini “attraverso una riduzione delle tasse”. Un taglio fiscale che va fatto “anche in deficit”, approfittando dell’ “interpretazione più flessibile” dei vincoli europei, pur “senza superare il tetto” del 3% rispetto al Pil.
Oltre a questo, prosegue Renzi, “va fatto caspire ai nostri amici europei che la Germania e altri Paesi devono ridurre il loro surplus commerciale”. Berlino sfora di oltre un punto percentuale il limite del 6% rispetto al Pil. “Se rientrasse nei parametri europei ci sarebbero circa 38-40 miliardi di euro da spendere in Germania”, segnala il presidente del Consiglio, secondo il quale quella spesa si tradurrebbe in un aumento della domanda che avrebbe effetti positivi anche negli altri Stati membri.
Servirà “energia e tenacia per far cambiare direzione” all’economia europea. Renzi lo sa bene. Ma si dice fiducioso nelle promesse del premier olandese Marc Rutte, detentore della presidenza di turno dell’Ue, il quale gli ha garantito che “sarà soprattutto il Consiglio europeo di giugno”, quello “dedicato alla crescita e agli investimenti”. Se in quella sede il premier riuscirà a creare “condivisione” attorno alla necessità di abbandonare l’austerity, “i risultati si misureranno in termini di occupazione”, assicura.
A chi chiede di più, come Arturo Scotto, capogruppo di Sinistra italia a Montecitorio, Renzi invita a considerare che al vertice socialista di Parigi era presente anche il premier greco Alexis Tsipras. Per il capo del governo italiano è un segno di realismo del leader ellenico. Un elemento che andrebbe colto, a suo avviso, da chi si ostina a “un massimalismo ideologico” che si scontra “con il riformismo realmente possibile” con gli attuali equilibri nelle istituzioni europee.