Bruxelles – Le mamme più vecchie d’Europa sono in Italia, anche perché manca un sostegno da parte delle Stato per le donne che scelgono di compiere questo passo impegnativo, e di conseguenza manca la fiducia verso un futuro più roseo. Il risultato è un continuo rinvio delle scelte di vita. Ne è convinto il Professor Alessandro Rosina, docente ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano. Se in Italia il primo figlio arriva dopo i 30 anni di una donna le cause non sono solo economiche, legate alla crisi, ma esistono anche fattori “psicologi”.
Professore, l’Italia si è guadagnata un primo posto in Europa per l’età più avanzata in cui si da alla luce il primo figlio. Quali sono le cause prime di questo fenomeno?
Il fenomeno è riconducibile a due motivazioni principali. Prima di tutto bisogna considerare le difficoltà che i giovani incontrano in Italia per ottenere una loro indipendenza e mettere le basi per costruire una famiglia. Nel nostro Paese, in confronto ad altri Stati europei, ci vuole più tempo per diventare autonomi rispetto alla famiglia di origine. Si va via più tardi da casa, si entra più tardi stabilmente nel mercato del lavoro e di conseguenza si verificano più tardi le condizioni per creare una propria famiglia ed avere un figlio, di solito dopo i 30 anni. Quando poi si trova lavoro, altre difficoltà si presentano, poiché risulta problematico conciliare il lavoro e la famiglia. In Italia mancano delle adeguate politiche di conciliazione (che favoriscano una integrazione degli impegni casa-ufficio), e non ci sente abbastanza solidi da un punto di vista lavorativo e professionale per poter tirare su un proprio nucleo familiare. Ma c’è anche una lettura positiva: nel nostro Paese permane il desiderio di non rinunciare ad avere un figlio, e anche se le condizioni per averlo arrivano in età più matura si cerca poi di recuperare. Questo porta, da un lato, al fatto che nascono sempre meno figli da madri al di sotto dei 30 anni. A riguardo l’Italia ha un record, registrando una delle più basse percentuali. Dall’altro lato, c’è comunque una tendenza al recupero dopo i 35 anni, una volta che sono state sorpassate le maggiori difficoltà nella creazione di un nucleo familiare. Il risultato è che l’età media in cui si ha il primo figlio si sposta sempre più in avanti.
Guardando i dati Eurostat, risulta che l’Italia è tra i Paesi che hanno il maggior numero di nascite nel 2014 (anche se ben al di sotto di Francia, Regno Unito e Germania). Questo dato non è in contrasto con l’età sempre più avanzata delle neo-mamme?
No perché l’Italia è un Paese grosso dal punto di vista demografico, con i suoi circa 60 milioni di abitanti, e quindi, in valore assoluto, ha un alto numero di nascite rispetto ad altre Nazioni. Ma se guardiamo invece i tassi di fecondità (il numero medio di figli per donna) vediamo che quello italiano è in diminuzione ormai da molti anni. Prima del 2011, considerato l’apice della crisi, si era verificato un modesto incremento, anche grazie alla presenza di donne straniere in immigrate. Ma dopo questa data la crisi ha portato a posticipare ulteriormente la scelta di avere un figlio, e la discesa del tasso è ripresa.
Quindi in che modo la crisi ha inciso sulla scelta di avere un figlio?
In Italia il numero di figli desiderato è ancora alto, superiore o almeno pari a due, ma in conseguenza della crisi, i giovani sono costretti a rimandare i loro progetti di vita non riuscendo a ottenere una autonomia abitativa ed economica. Ciò li porta ad accontentarsi, a causa dell’età che avanza: chi voleva tre figli si accontenta di due, chi ne voleva due si accontenta di uno, chi ne voleva almeno uno finisce per non averne. I progetti di famiglia in Italia ci sono, ma si osserva una posticipazione delle scelte di vita, sempre più accentuata dalla crisi. A sostegno di quanto detto possiamo prendere i dati relativi ai Neet (Not in Education, Employment or Training), i giovani al di sotto dei 30 anni non più inseriti in un percorso scolastico/formativo ma neppure impegnati in un’attività lavorativa. L’Italia è al secondo posto tra i tassi più alti, subito dopo la Grecia. Ciò conferma le difficoltà dei giovani a mettere le basi per formare una propria famiglia.
Secondo quanto ha detto in precedenza però la colpa non è tutta della crisi…
No, infatti la tendenza negativa del tasso di fecondità si aveva già prima della crisi. Il nostro Paese è caratterizzato da una bassa fecondità persistente, e da lungo tempo ha visto crollare il numero medio di figli al di sotto dell’1,5 per donna. Per un confronto, Francia, Paesi scandinavi ma anche Stati Uniti hanno un numero medio di figli attorno a due. L’Italia è una della Nazioni che da più lungo tempo rimane al di sotto dell’1,5, il che denota come già ci fosse una scarsa capacità di realizzazione dei progetti riproduttivi delle coppie, a causa delle difficoltà dei giovani e della mancanza di politiche adeguate. Ma è pur sempre vero che con la crisi la tendenza si è aggravata.
Quindi, riassumendo, ci sono cause economiche ma potremmo dire anche “psicologiche”.
Senz’altro le ragioni sono anche economiche, basta pensare al fatto che in Italia si registra un elevato rischio di povertà per le famiglie con oltre due figli. Chi decide di avere dei bambini non si trova in un contesto molto favorevole. Ma questo non deve far sottovalutare il movente legato alle prospettive future: quello che manca è l’idea di un miglioramento delle condizioni. Se una donna o una coppia pensano che il contesto sarà più favorevole in futuro, più facilmente sceglieranno di avere un figlio, aspettandosi politiche più consistenti, coerenti e continue per le famiglie con bambini. Se invece non si riescono a immaginare giorni più rosei per il Paese, come succede in Italia, difficilmente ci si sentirà pronti ad affrontare un passo così impegnativo. Si è sommata una crisi economica con una crisi di fiducia verso il domani, che blocca le scelte di vita e le scelte impegnative verso il futuro. Manca il sostegno per le persone che scelgono di dare vita ad una famiglia, mancano politiche atte a creare un senso di fiducia verso il supporto che si può ricevere dallo Stato, mancano adeguati servizi per aiutare le neo-famiglie. Finché non ci saranno politiche chiare e forti in questa direzione la scelta di avere un figlio risulterà difficile. La questione ha un aspetto culturale: i figli sono visti come un carico individuale sulla coppia e sulle donne, e non sono considerati come un investimento sociale. Il punto è che non viene percepito il valore sociale di questa scelta.
Allargando lo sguardo verso altre Nazioni dell’Unione Europea, i dati non mostrano una chiara corrispondenza tra Stati ricchi e maggiori tassi di fertilità. Ad esempio la Germania si situa al di sopra della media europea per età delle donne che partoriscono il primo figlio, e vicino all’Italia per tasso di fecondità.
C’è una differenza nel desiderio di avere figli. In Italia la voglia c’è, ma le condizioni sono difficili e generano un allontanamento nel tempo della possibilità di avere un bambino. In Germania la situazione è diversa, perché anche se il contesto è nel complesso più favorevole, molte donne e coppie non sono interessate ad avere figli. Però chi li vuole magari ne ha due o tre, realizzando più facilmente questo progetto. Sono due modelli diversi che in parte portano agli stessi risultati.