di Maurizio Sgroi
Perché sia chiaro a chi pensa che così non sia, diciamolo subito: il tanto contestato bail-in è qui per rimanere. Le norme che prevedono che azionisti e alcuni obbligazionisti siano i primi a pagare lo scotto di un fallimento bancario magari non sono scritte sulla pietra, quindi potranno pure essere emendate, ma non è in discussione il principio che le ha animate, ossia che lo stato non debba più farsi carico dei bail-out, quindi di salvataggi con denaro pubblico a spese dei contribuenti. Il costo dei fallimenti bancari lo pagheranno per primi investitori e alcuni creditori delle banche.
Chi dovesse dubitarne farebbe bene a leggersi l’ultimo intervento di Danièle Nouy, capo del meccanismo di sorveglianza unico che agisce in seno alla BCE, ossia del primo pilastro della nostra unione bancaria europea. La Nouy ha parlato al Bank Capital Forum di Londra lo scorso 23 febbraio illustrando le linee guida che la vigilanza bancaria europea ha fissato per il 2016, che minaccia di essere un anno terribile per le banche dell’eurozona. E non tanto perché la loro situazione patrimoniale non sia migliorata, in questi lunghi e tormentati anni, ma perché scontano due grandi problemi strutturali: da un lato le sofferenze, che affliggono molti colossi del credito, dall’altro il contesto di tassi bassi che rende il business bancario un affare sempre più difficile e spinge le banche a cercare rendimenti laddove sono più rischiosi. Col risultato che la redditività degli istituti è ancora poco soddisfacente, esponendo le banche ai capricci delle borse, particolarmente turbolenti in questo inizio d’anno. Le onde del listino, insomma, disegnano un destino complicato per le banche europee. E ciò spiega le preoccupazioni della vigilanza.
La Nouy ha buon gioco a ricordare che la ricerca di rendimento ha condotto le banche su un terreno rischioso, esponendole a brusche inversione di tendenze che potrebbero riverberarsi sui settori meno liquidi del mercato obbligazionario e quindi provocare alle banche tensioni ancora peggiori di quelle che già vivono relativamente alla redditività. La strada maestra, di conseguenza, dovrebbe essere quella di cambiare modello di business, rendendosi sempre meno dipendenti dal margine di interesse e insieme, migliorando i costi laddove sia possibile. Insomma, anche le banche dovranno affrontare le loro riforme strutturali.
«Per sintetizzare – spiega – bisogna aumentare la redditività. Tutte le banche sentono il vento avverso che deriva dalla bassa crescita economica e dai bassi tassi di interesse. Tutte devono trovare una strada per fare i conti con queste circostanze».
E qui veniamo al punto. Le pratiche regolatorie adottate all’indomani della crisi hanno contribuito a rafforzare la struttura patrimoniale delle banche – dice la banchiera francese – ma ciò malgrado «la regolazione non può prevenire integralmente la possibilità che una singola banca possa fallire», anche perché «il rischio di fallimento è inerente in un’economia di mercato ben funzionante e non dovremmo provare a cambiare questa cosa». «Quello che dobbiamo fare – sottolinea – è evitare che il fallimento di una singola banca destabilizzi l’intero sistema finanziario, e poi dobbiamo assicurarci che il costo del fallimento sia sostenuto da coloro che per primi si sono assunti il rischio all’inizio, e cioè azionisti e creditori. Dobbiamo lasciare il problema del “too big to fail” e dei bail-out alle nostre spalle».
A questi fini «il nuovo regime del bail-in è un incentivo per gli investitori ad esercitare la disciplina di mercato sulle banche, che è infatti uno degli effetti desiderati della sua applicazione» oltre a quelli di «aumentare la stabilità finanziaria e proteggere i contribuenti che hanno dovuto sostenere troppo spesso con le loro tasse i fallimenti bancari».
Di fronte a una Weltanschauung di così autorevole provenienza – ricordo che la vigilanza bancaria europea ha sostituito quelle nazionali per le grandi banche – i tanti che vagheggiano di riforma o addirittura abolizione delle nuove regole sui fallimenti bancari dovrebbero riconoscere che è un po’ troppo tardi per pensare di tornare indietro e che forse un maggiore approfondimento andava fatto, nelle sedi opportune, prima che le norme entrassero in vigore. A livello nazionale si possono immaginare soluzioni che diluiscano gli effetti dei bail-in solo per le banche fuori dalla vigilanza europea e solo sotto precise condizioni.
Uscire dai meccanismi del bail-in, e quindi sostanzialmente dall’unione bancaria, non è meno complicato che uscire dalla moneta unica. Anzi, per certi versi è pure più difficile. È facile a dirsi però. E a molti tanto basta.
Pubblicato sul blog dell’autore il 4 marzo 2016.