di Thomas Fazi e Guido Iodice
Il colossale fallimento delle politiche monetarie non convenzionali perseguite in questi anni dalle banche centrali è ormai sotto gli occhi di tutti, almeno per ciò che riguarda l’obiettivo dichiarato di riportare l’inflazione verso l’obiettivo del 2 per cento annuo. È della settimana scorsa la notizia secondo cui l’eurozona, ad un anno esatto dal varo del programma di quantitative easing della BCE, è addirittura tornata in deflazione (e non poteva essere altrimenti, data la bassa domanda, l’alta disoccupazione, i salari stagnanti e il prezzo del petrolio il calo).
Quello dell’“impotenza delle banche centrali” è ormai un argomento di dibattito diffuso. Jeremie Cohen-Setton ne ha discusso recentemente sul sito dell’istituto Bruegel. Molti commentatori sembrano concordare sul fatto che le banche centrali abbiano “finito le munizioni” e che ora tocca ai governi fare la loro parte, attuando misure di stimolo della domanda (a partire da un aumento degli investimenti pubblici, come auspicano ormai anche istituzioni tradizionalmente “austeritarie” come l’FMI e l’OCSE). Sebbene non sia del tutto vero, come vedremo, che le banche centrali non possano fare null’altro, questa “svolta” nel dibattito pubblico rappresenta indubbiamente un elemento positivo, poiché riflette una consapevolezza sempre più diffusa, anche in ambito mainstream, del fatto che (a) il problema principale di cui soffre oggi l’economia mondiale – ed in particolare l’eurozona – è una carenza di domanda (associata ad un eccesso di debito privato), non di offerta; e che (b) in un tale contesto, le politiche monetarie espansive non servono a molto, se non sono accompagnate da politiche fiscali espansive.
Allo stesso tempo, però, decretando “l’impotenza” delle banche centrali, si rischia di buttare via il bambino con l’acqua sporca, saltando a piè pari da un estremo all’altro. Per due motivi. In primo luogo, perché qualunque governo che voglia perseguire una politica fiscale espansiva ha bisogno del sostegno della propria banca centrale (per tenere giù i tassi di interesse ed eventualmente per “monetizzare”, più o meno direttamente, la spesa, come suggerito, tra gli altri, da Adair Turner, dal leader laburista Jeremy Corbyn, che ha ribattezzato la proposta “quantitative easing for the people”, e dall’editorialista del Financial Times Martin Wolf); sarebbe a dire che quello che serve è un coordinamento tra autorità fiscali ed autorità monetarie, con contestuale superamento del dogma dell’indipendenza della banca centrale (per la cronaca, quest’ultima sarebbe senz’altro l’opzione migliore, secondo l’opinione di chi scrive).
In secondo luogo, perché, anche in assenza di politiche discrezionali da parte dei governi, alle banche centrali rimane ancora un’arma: far alzare in volo gli elicotteri. Fu Milton Friedman a dichiarare che esiste sempre una maniera per stimolare l’economia e arginare la deflazione: «Lanciare denaro dagli elicotteri». Ossia stampare denaro per immetterlo direttamente nel circuito dell’economia reale (monetizzando il deficit, nell’accezione “classica” del termine “helicopter money”). Soprattutto nel contesto dell’eurozona, l’espressione ha assunto il significato di creare moneta per distribuirla direttamente ai cittadini. La ragione è semplice: nell’eurozona qualunque forma di monetizzazione del deficit – e dunque di cooperazione tra autorità fiscali e autorità monetarie – è vietata dai trattati. Si tratta quindi di capire se esiste una maniera per permettere alla banca centrale di versare il denaro direttamente nelle tasche dei cittadini senza passare per gli Stati. Secondo John Muellbauer dell’università di Oxford, una maniera ci sarebbe: la BCE potrebbe realizzare un versamento mensile a favore di tutti i lavoratori e i pensionati dotati di codice fiscale (o l’equivalente locale), che i governi dovrebbero semplicemente provvedere a distribuire; volendo, potrebbe anche far ricorso ai registri elettorali, indipendentemente dai governi. Alternativamente, come ha suggerito Eric Lonergan, la banca centrale potrebbe estendere alle banche dei prestiti a tasso zero e senza scadenza, con l’obbligo per le banche di “girare” questi prestiti alle stesse condizioni a qualunque cittadino dell’eurozona che ne faccia richiesta, fino ad un massimo, poniamo, di 500 o di 1000 euro ad adulto. Questo non avrebbe nessun impatto netto sul bilancio della BCE. «Si tratterebbe di una misura del tutto legale in base ai trattati europei», scrive Lonergan. «Avrebbe come unico obiettivo quello del raggiungimento degli obiettivi inflazionistici della BCE, la cui indipendenza non verrebbe compromessa poiché non sarebbe previsto il coinvolgimento dei governi e/o delle tesorerie nazionali».
Guardando al precedente americano del 2001, in cui un taglio fiscale di 300 dollari per i contribuenti a basso reddito ebbe un effetto moltiplicatore pari al 25 per cento della somma distribuita, possiamo ipotizzare che una manovra di questo tipo darebbe probabilmente un impulso immediato alla domanda, rilanciando consumi e occupazione. Diciamo probabilmente perché l’esperienza italiana del bonus degli 80 euro dimostra quanto la propensione marginale al risparmio, dopo anni di crisi, possa essere elevata, e come il pubblico possa essere propenso a tesaurizzare, sotto forma di liquidità, tutto o quasi il reddito disponibile aggiuntivo. Non solo: i beneficiari potrebbero usare il denaro distribuito dalla BCE per acquistare merci importate, e la manovra potrebbe mancare così in larga misura i benefici attesi.
Le speranze sull’efficacia di tale misura vanno più che altro ricercate nella possibilità, per i destinatari, di rimborsare i debiti pregressi. Se funzionasse, una misura del genere non avrebbe solo benefici economici, ma anche politici, in quanto contribuirebbe a placare il crescente risentimento dei cittadini contro le istituzioni europee, soprattutto nei paesi maggiormente in crisi. In un colpo solo, la BCE dimostrerebbe di prendere sul serio il suo obiettivo inflazionistico del 2 per cento e aiuterebbe a fermare l’avanzata dei partiti nazionalisti e populisti. Come scrive Muellbauer: «Alcuni paesi – il pensiero va subito alla Germania – si opporranno strenuamente a una misura di questo tipo, facendo appello alla prudenza e alla responsabilità. Ma la verità è che “lanciare denaro dagli elicotteri” funzionerebbe, e non c’è alcuna legge che vieta di farlo. Dopo anni di austerità e disoccupazione di massa, è ora di implementare un quantitative easing che dia all’Europa ciò di cui ha bisogno».
La proposta sta raccogliendo consensi crescenti: da Wolfgang Münchau al Centre for European Reform a diversi europarlamentari. È persino al centro di una vivace campagna paneuropea chiamata Quantitative Easing for People. Ma è realistico aspettarsi una sua implementazione? Il problema di queste proposte di impegno diretto della BCE è che si tratterebbe di una vera e propria sostituzione della banca centrale alle banche commerciali, qualcosa che troverebbe resistenze probabilmente insuperabili (almeno nel breve).
Il fatto stesso che si parli di misure così poco convenzionali dimostra comunque che le banche centrali stanno esaurendo la fantasia a loro disposizione. Va ancora peggio per la BCE, che, anche volendo, non potrebbe esercitarla, dati i vincoli dei trattati, ma soprattutto l’equilibrio politico attuale nell’eurozona (la recente decisione di includere nel QE anche i corporate bond emessi dalle aziende non finanziarie, che potrebbe essere considerata una forma blandissima di “helicopter money”, rappresenta probabilmente una soglia oltre il quale Draghi non può spingersi).
Il punto cruciale, alla fine, è sempre questo: il dottor Draghi può solo iniettare un po’ di morfina per attenuare il dolore e tenere in vita il paziente: la moneta unica. Ma la cura è in larga parte responsabilità dei governi.