EU – Turchia, un accordo che porta disaccordo.
Secondo Guy Verhofstadt sul Guardian, l’accordo fra l’Unione Europea e la Turchia sui migranti non solo è immorale, è anche profondamente fallace: invece di cercare di delegare agli altri l’emergenza migranti, l’UE dovrebbe dimostrare di essere una vera Unione e lavorare per poter risolvere la situazione in modo collettivo.
Un decalogo per l’Unione
L’incapacità di agire come Unione nei confronti dell’emergenza migranti è ormai un fatto conclamato, scrivono Adela Cortina e José Ignacio Torreblanca su El País: in aggiunta alla mancanza di meccanismi adeguati per gestire umanamente flussi di rifugiati, i paesi si sono divisi sulle misure da adottare, agendo da soli, spesso in contrasto con i valori etici e i principi su cui si basa il progetto europeo.
Grande-Synthe, dignità per i migranti? Forse.
Il campo francese situato fra Calais e Dunkerque, costruito da Medici Senza Frontiere per cercare di fornire alloggi dignitosi ai migranti in attesa (spesso vana) di potersi trasferire in UK, è ormai al limite – umano e legale – ed è al centro di uno scontro politico fra il sindaco di Grande-Synthe che vede il campo come un passaggio verso l’UK, e Bernard Bernard Cazeneuve che invece è ormai “rassegnato” ad accogliere nel tessuto francese anche quei migranti.
Nel frattempo, in Grecia.
Migliaia di migranti, fermati dal blocco delle frontiere a Nord, hanno trovato riparo presso il porto del Pireo: un reportage fotografico di Libération ci racconta come alla disperazione di chi scappa dalla Siria si unisca la riconoscenza verso un popolo, quello greco, che pur soffrendo una crisi economica senza precedenti ha aperto le proprie porte a chi è ancora più disperato.
Nel frattempo, in Germania.
L’emergenza migranti sta avendo una ricaduta notevole sul mondo politico europeo, ed in Germania in particolare il ‘fantasma’ dell’estrema destra diventa sempre meno ectoplasma e sempre più realtà: la quarantenne Frauke Petry è ormai definita l’anti-Merkel. Per l’esattezza, la “predicatrice dell’odio”. Brace yourselves, avvisano dal New York Times.
Nel frattempo, in Germania, parte seconda.
Cento giorni dopo aver lasciato l’Iraq alla ricerca di una nuova vita in Germania, Ayad Mohammed si prepara ad un altro viaggio – quello del rientro dallo Jura a casa. Volontario nella lotta contro i Peshmerga nel 2014, da quando è arrivato in Germania Mohammed praticamente non ha avuto conversazioni con i locali, tranne quelli delle organizzazioni che hanno cercato di aiutarlo nell’inserimento: non qualificato, a malapena parla tedesco, il ventisettenne non è riuscito nel suo sogno e ora tornerà in Iraq, senza rabbia nei confronti della Germania o dei suoi abitanti. Semplicemente, rassegnazione.
A cura di Sarah Tuggey