Non ci sarà scampo per il Partito socialista europeo, gli “alleati-antagonisti” del Partito popolare vogliono prendere tutto, e probabilmente ce la faranno. E’ uno dei frutti “perversi” della cosiddetta elezione diretta del presidente della Commissione europea, che ha portato alla guida dell’esecutivo comunitario, nel novembre del 2014, il popolare Jean-Claude Juncker, benché il suo partito abbia subito un crollo alle ultime elezioni europee, rimanendo però la prima forza politica dell’Unione.
Dunque, giustamente secondo gli accordi, un esponente del Ppe ha preso il posto più importante in Europa. Al Consiglio europeo, anche per responsabilità di Matteo Renzi, che ha rifiutato la poltrona di presidente offerta a Enrico Letta, al vertice siede un altro esponente popolare, il polacco Donald Tusk, che ha fatto appena in tempo a prendere una posizione di prestigio prima che il suo partito, in patria, crollasse e fosse estromesso dal governo. Al Parlamento europeo il presidente è invece un socialista, Martin Schulz, che occupa quella poltrona anche in base ad un accordo storico tra Ppe e Pse secondo il quale la legislatura quinquennale viene divisa a metà tra due esponenti dei due partiti. Tra poco più di un anno dunque ci sarà un nuovo voto dell’Aula per un nuovo leader.
I socialisti non nascondono di sperare di mantenere quella posizione, e Schulz stesso ci sta lavorando da tempo. Il tentativo è di far passare l’idea che non è possibile che le tre maggiori cariche europee siano tutte ad appannaggio di un solo partito, cosa per altro già accaduta nella scorsa legislatura, quando prima dell’elezione dello stesso Schulz c’era il terzetto Jerzy Buzek, Jose Manuel Barroso e Herman van Rompuy. Ora, nel rispetto delle tradizioni, dovrebbe ripetersi la stessa scena, anche se i popolari hanno subito una sconfitta elettorale pesante e se oramai i governi del Ppe sono meno di dieci (otto) tra i Ventotto. Insomma, un en plein in questo periodo sembrerebbe molto meno giustificato che in passato.
Però i popolari non mollano, e tra i candidati alla presidenza del Parlamento uno di quelli di peso è l’italiano Antonio Tajani, attualmente primo vice presidente, con una lunga e brillante carriera nelle istituzioni europee che ne fa un candidato più che credibile. Per l’Italia sarebbe certamente una “presa” di grande prestigio.
I socialisti, pur senza amarlo tutti, lavorano su una possibile conferma di Schulz, puntando anche sul fatto che è tedesco, sperando che questa nazionalità posa aiutare a trovare sostenitori anche nel gruppo parlamentare nazionale più influente. I popolari però non intendono mollare, e lo dimostra anche la battaglia che da mesi stanno conducendo contro Giovanni Kessler, direttore generale dell’Olaf, l’organismo antifrode europeo. L’italiano ha un passato da esponente del Pse, e agli occhi dei popolari, ha una macchia che evidentemente va lavata: nell’ambito della vicenda della Direttiva tabacco, nel 2012 con le sue indagini anticorruzione scopri relazioni illegali tra un commissario del Ppe, il maltese John Dalli, e l’industria del tabacco. Gli uffici di Kessler trovarono prove talmente schiaccianti che Barroso costrinse Dalli alle dimissioni. Al Ppe però questa cosa non è mai stata davvero digerita, e da subito iniziò una battaglia per far in qualche modo scudo postumo a Dalli, facendo pagare a Kessler quella defenestrazione. Per tanto tempo la cosa restò sotto traccia, ma da qualche mese è tornata a galla, sotto la guida della vice presidente della Commissione competente, Kristalina Georgieva, anche lei membro di un partito bulgaro che aderisce al Ppe, che ha intensamente indagato su una presunta fuga di documenti della quale Kessler potrebbe essere responsabile.
Naturalmente l’aspetto tecnico-giudiziario è di estrema importanza, ne va della credibilità di tutta la Commissione e la questione va chiarita al più presto. Però qui il confine tra tecnica e politica sembra molto labile, e questa sembra poter prendere il sopravvento su quella.
Il Partito popolare europeo ha sostenuto fortemente l’iniziativa di Georgieva (che tra l’altro è uno dei candidati forti alla giuda dell’Onu), chiedendo ripetutamente e con durezza le dimissioni del direttore dell’Olaf, aggrappandosi, da ultimo, a un’indagine della magistratura belga che sospetta un uso illecito, secondo la legge belga, di alcune intercettazioni telefoniche. Da ieri circola la voce, probabilmente vera ma non confermata né smentita dagli uomini di Juncker, che la Commissione ha deciso di togliere l’immunità che protegge l’inquirente Kessler da indagini di questi tipo, e dunque, anche se il salto logico è poco europeo e proprio di un giustizialismo estremo, il Ppe è tornato alla carica sulle dimissioni.
Ogni spazio possibile, insomma, deve essere occupato dai popolari, che forse hanno già in mente un nuovo nome al posto di quello di Kessler, e chi tocca il Ppe (anche se per vicende di corruzione) la paga, sembrano dire le dichiarazioni degli esponenti del partito.
In tutto questo il Pse non si sente. Ha sostenuto la presidenza della Commissione per Juncker, ha accettato quella della Commissione per Tusk (che, tra l’altro, sta dando anche una prova molto modesta, osservano in molti a Bruxelles) ha accettato il patto dello scambio delle presidenze al Parlamento. Ora su Kessler è evidente che non si può fare una battaglia in nome di un partito politico, la sua funzione è eminentemente tecnica (lui è un magistrato italiano, tra l’altro) ma il silenzio del centrosinistra europeo, rotto solo dall’eurodeputato renziano Nicola Danti, inizia a diventare pesante.