Bruxelles – Per una volta non ha avuto la meglio la cancelliera tedesca Angela Merkel, che avrebbe voluto trattative ad oltranza fino a giungere a un accordo finale. All’una di notte, dopo una lunga giornata di riunione, i leader europei prendono coscienza che l’accordo con la Turchia non si può raggiungere, almeno non del tutto. Ci si limita a concordare una “dichiarazione di principio”, come la definisce il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker e a darsi un nuovo appuntamento tra una settimana, in occasione del nuovo Consiglio europeo già in programma.
A rendere necessario il rinvio, il colpo a sorpresa del governo turco, che al summit di Bruxelles si è presentato con in mano un nuovo testo. Più aiuto per fermare il flusso di migranti in arrivo, in cambio di più soldi, più impegno sui reinsediamenti dei profughi presente nel Paese e che devono essere trasferiti in Europa e di un’accelerazione sulla liberalizzazione dei visti e sul processo di adesione. Questa l’idea centrale di una proposta che ha destato interesse ma che ha fatto molto discutere i leader europei.
Il cuore del piano di Ankara è il meccanismo secondo cui la Turchia si impegna a riprendere tutti i migranti che attraverso l’Egeo raggiungeranno le isole greche, sia che si tratti di siriani, sia che si tratti di migranti economici. In cambio, però, la richiesta è che per ogni siriano riammesso in Turchia, un altro ne sia ricollocato dalla Turchia verso gli Stati membri Ue. L’idea ha incontrato la forte resistenza dei Paesi dell’Est, Ungheria in testa, da sempre contrari a quote di accoglienza forzata. Ma il principio è comunque entrato tra quelli su cui i leader si impegnano a continuare a lavorare. A destare perplessità su questo aspetto anche l’idea che persone chiaramente bisognose di protezione internazionale come i siriani, possano essere mandate via dall’Europa. Ma secondo Juncker la questione non è problematica visto che la Turchia è considerata dall’Ue come un Paese sicuro.
Il premier turco Ahmet Davutoglu avrebbe voluto portare a casa anche la promessa di ulteriori tre miliardi di euro, oltre ai tre già concordati lo scorso novembre. Per il momento, nella dichiarazione finale dei leader, si parla solo di “velocizzare il disborso dei tre miliardi” già promessi e di “decidere su un finanziamento aggiuntivo”.
I Paesi membri si sono anche impegnati a “prepararsi per la decisione sull’apertura di nuovi capitoli negoziali” per l’accesso della Turchia all’Ue il “prima possibile”. Passaggio, questo, che ha sollevato le obiezioni di Cipro e Grecia. “Per noi è importante vedere questo come un pacchetto”, sottolinea Davutoglu che ammette che il tema è “umanitario, per aiutare i rifugiati”, ma è anche un “tema strategico per noi, perché vogliamo integrare la Turchia nell’Ue e dare nuovo impulso alle nostre relazioni”. Ankara, chirisce il premier turco, spingerà dunque per l’apertura di “cinque nuovi capitoli negozili il prima possibile”.
Sullo sfondo, poi, la questione della libertà di stampa soprattutto dopo il caso del quotidiano di opposizione Zaman, prima commissariato e poi tornato in edicola in versione ‘epurata’. Secondo alcuni leader come Matteo Renzi, il belga Charles Michel e il britannico David Cameron era inaccettabile approvare un testo che non contenesse almeno un richiamo alla questione. “Voglio un riferimento alla libertà di stampa, altrimenti noi non firmiamo”, si sarebbe impuntato il premier italiano. E nel testo finale il cenno compare, anche se molto vago: la dichiarazione si limita a spiegare che “i capi di Stato e di governo hanno discusso anche con il premier turco la situazione dei media in Turchia”. Niente di più.
Comunque quello raggiunto in linea di principio, è un “vero elemento risolutivo”, secondo Juncker perché rompe il business model dei trafficanti e chiarisce che l’unica via per accedere all’Ue è legale”. Tutte le decisioni prese “lanciano un messaggio chiaro: sono finiti giorni dell’immigrazione clandestina”, concorda il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, incaricato ora di gestire i negoziati in vista del consiglio del prossimo giovedì 17, quando si spera, di nuovo alla presenza di Davutoglu, di siglare l’accordo finale.