Roma – La crisi economica si è tradotta in “un aumento dei casi di insolvenza” dei creditori nei confronti delle banche che ha provocato “un forte aumento dei crediti deteriorati”. Di questi, “una quota superiore al 50% è già stata spesata a conto economico per tempo, attraverso le rettifiche” in bilancio, ma rimangono “crediti in sofferenza rilevanti, cioè non ancora rettificati, pari a 89 miliardi di euro, il 4,6% degli impieghi” degli istituti di credito. È questa la fotografia della situazione consegnata da Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi, nel corso di un’audizione in Senato.
Dunque, l’accordo trovato tra il ministero del Tesoro e la Commissione europea sulle ‘bad bank’, con le misure inserite nel decreto che prevede anche la riforma del credito cooperativo, servirà proprio a gestire questi 89 miliardi di sofferenze. La soluzione individuata, però, sarebbe più efficace se, in corso di conversione del decreto, si introducessero norme “volte a rendere più efficaci ed efficienti, nonché meno costose, le procedure esecutive” per il recupero dei crediti, segnala Sabatini.
In questo modo, prosegue, si contribuirebbe “in maniera decisiva al decollo del mercato dei crediti deteriorati”. Secondo l’Abi, “per ogni anno di riduzione dei tempi di recupero lo scarto tra prezzo di offerta e prezzo di domanda si ridurrebbe di circa il 10 per cento“. Per fare un esempio, se oggi un credito deteriorato dal valore nominale di 100 euro lo si riuscisse a vendere a 40, riducendo di un anno i tempi di recupero dei crediti, secondo le stime dell’associazione bancaria, si troverebbero investitori disposti a offrire 50 euro per lo stesso credito.
Sabatini ha colto poi l’occasione per tornare sulla richiesta di una revisione della direttiva europea sul cosiddetto ‘bail in’, il salvataggio degli istituti in crisi ricorrendo alle risorse di azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100mila euro. Su questo fronte, “finora l’Italia è apparsa isolata in Europa”, ha riconosciuto il direttore generale, segnalando però l’avvocato generale della Corte di giustizia europea, nelle conclusioni su un ricorso della Slovenia, ha indicato “la necessità di una riflessione volta a rivedere, o almeno a interpretare in maniera più flessibile” la normativa.
Si tratta di conclusioni “non vincolanti” per la Corte, ammette Sabatini, ricordando però che “sono solitamente accolte nella decisione” finale. L’esponente dell’Abi si aspetta dunque l’apertura di un dibattito a livello europeo che porti a “un quadro di regole più certe, più chiare e più equilibrate” sulle procedure di salvataggio. “In ogni caso – precisa – dovrebbe essere previsto come principio generale quello della non retroattività delle norme e la necessità di adeguati periodi transitori”.
Il ragionamento è che se un risparmiatore ha acquistato obbligazioni subordinate prima della normativa sul ‘bail in’, sapeva di andare in contro a un certo tipo di rischio. Adesso che le nuove regole lo chiamano in causa per l’eventuale salvataggio dell’istituto di cui ha sottoscritto le obbligazioni, il rischio a cui è sottoposto è notevolmente aumentato. Un nodo che la Corte di giustizia europea potrebbe invitare a sciogliere.