di Maurizio Sgroi
Mi trovo a leggere un’analisi molto interessante che individua una tendenza tutto sommato logica. Quella vale a dire secondo la quale l’allentamento monetario messo in campo dalle banche centrali di mezzo mondo ha generato una forza uguale e contraria che sta conducendo a un costante restringimento delle riserve valutarie, che ormai dura dal luglio del 2014. Ossia da quando il petrolio quotava oltre 106 dollari al barile, individuandosi perciò una relazione, che sarebbe esagerato definire correlazione, fra i due eventi.
Anche perché i due paesi che primeggiano nella classifica dei detentori di riserve, Cina e Arabia Saudita, sono gli stessi che più di tutti hanno patito un assottigliarsi delle loro riserve, principalmente in ragione della necessità di mantenere stabile il loro rapporto col dollaro Usa, da un lato, e salvaguardare i propri equilibri interni, dall’altro.
E sarà pure un caso, ma il declino delle riserve valutarie inizia proprio col declino del prezzo del petrolio. In poco più di un anno, infatti, l’aggregato delle riserve è sceso da 12,7 trilioni di luglio 2014 a poco più di 11,5 trilioni del dicembre scorso, mentre i prezzi del greggio crollavano da 105 dollari a meno di 40.
Ma l’aspetto interessante è un altro, ossia osservare come i comportamenti delle banche centrali, intervenuti nel frattempo, abbiano cercato di fronteggiare gli andamenti macroeconomici e scoprire che, a conti fatti, ciò che hanno ottenuto è stato neutralizzarsi a vicenda. Non a caso l’autore parla di “global quantitative tightening” (QT) a fronte del più noto quantitative easing (QE) che da oltre sette anni va in scena nelle economia avanzate.
Un grafico, basato sull’andamento degli asset delle banche centrali, fotografa questa divertente situazione. La linea nera, che monitora il saldo degli asset mostra con chiarezza che alla fine del 2015 le azioni espansive delle banche centrali, principalmente giapponese ed europea, venivano compensate fino ad annullarsi da quelle delle banche dei paesi emergenti. Ciò avrebbe provocato effetti visibili sui mercati, che hanno iniziato a contrarsi, invertendosi tale tendenza una volta che i saldi netti della liquidità delle banche centrali sono tornati positivi.
Pure ammettendo che una correlazione non implichi un rapporto di causazione, come rileva l’autore dell’analisi, è tuttavia ragionevole individuare nei cicli di politica monetaria anche una delle ragioni dell’andamento dei prezzi del petrolio, che quindi potrebbero essere spiegati anch’essi come una conseguenza del QT, ossia come reazione delle banche centrali emergenti al QE della banche centrali dei paesi avanzati.
Le cronache più recenti sembrano supportare questa ipotesi di studio. Il rimbalzo dei mercati fa il paio con quello del petrolio, da una parte, e con ulteriori manovre di espansione, annunciate o attese, da parte delle banche centrali. Ciò non vuol dire che i problemi che stanno sotto questa situazione siano stati risolti. Ma solo che si prova a far ripartire un altro giro di giostra. Finché dura…
Pubblicato sul blog dell’autore il 29 febbraio 2016.