Bruxelles – Adesso nero su bianco ci sono date e azioni precise. Pochi passi, studiati e pianificati, per convincere tutti che il ritorno a Schengen è possibile ed è solo questione di lavoro ordinato e condiviso. La Commissione europea ci riprova, e a pochi giorni dal cruciale vertice di lunedì presenta una road map per restaurare la libera circolazione europea. L’obiettivo è “togliere tutti i controlli alle frontiere interne il più rapidamente possibile” ma “con una chiara data limite a novembre 2016”.
“E’ il momento di mostrare che siamo solidali, coerenti e che vogliamo preservare i nostri valori”, chiede a tutti il commissario Ue all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos secondo cui “le decisioni e le prese di posizione unilaterali non aiutano nessuno”. Oggi c’è “una mancanza di fiducisa tra alciuni Stati” ammette, dicendosi però fiducioso che “alla fine prevarrà l’interesse comune di tutti gli Stati membri”.
Il primo passo concreto per tornare alla normalità è, secondo la Commissione, quello di assicurare la protezione delle frontiere esterne. Occorre dunque dare, in modo urgente, il via libera alla guardia frontiere europea proposta dalla Commissione europea a dicembre. L’approvazione da parte di Consiglio e Parlamento europeo, insiste l’esecutivo comunitario, deve arrivare non più tardi di giugno, così che il nuovo corpo possa entrare in azione in estate, quando le buone condizioni meteorologiche potrebbero provocare un ulteriore aumento dei flussi. La Commissione chiede a Frontex e agli Stati membri di cominciare fin da ora le operazioni di preparazione necessarie, identificando uomini e risorse necessarie. Frontex già dal 22 marzo dovrebbe fare appello agli Stati membri per maggiori contributi e gli Stati dovrebbero rispondere, secondo la road map della Commissione, in un massimo di dieci giorni.
Passo due, andare in soccorso di Atene e aiutarla a risolvere le “carenze gravi” individuate nel controllo delle frontiere esterne. Questo “è responsabilità primaria della Grecia, ma in ultima analisi dell’intera Unione europea” visto che “i confini esterni della Grecia sono anche i confini esterni di ogni Stato dell’area Schengen”, si legge nella comunicazione della Commissione. C’è dunque un “bisogno immediato” di agire su questo versante. Come? Gli esperti dell’esecutivo comunitario devono continuare a cooperare con le autorità greche per arrivare ad un 100% di migranti identificati e registrati. Tra pochi giorni, il 12 marzo, Atene deve poi presentare un piano di azione per risolvere le gravi carenze individuate dalla Commissione e presentare anche una stima dei propri bisogni per consentire agli altri Stati membri e alle agenzie Ue di venire in suo aiuto. La Commissione effettuerà una prima valutazione della situazione a metà aprile e un mese dopo, il 12 maggio, constaterà definitivamente se la situazione è migliorata o se occorre ricorrere all’articolo 26 del codice frontiere Schengen, consentendo agli Stati membri di prolungare i controlli per un massimo di due anni. Bruxelles avverte comunque che i controlli saranno consentiti “solo in quei tratti di frontiere dove sono necessari e proporzionati”.
Di pari passo deve proseguire la messa in atto del piano di azione congiunto Ue-Turchia e dello schema di ammissione volontaria di rifugiati dai campi profughi turchi così come devono accelerare il funzionamento dello schema di ricollocamenti da Italia e Grecia (la Commissione si ripropone di tenere sotto controllo la situazione con un report mensile sui progressi) e i ritorni dei migranti economici verso Ankara.
La Commissione chiede anche che si torni ad applicare il regolamento di Dublino e a rimandare effettivamente i migranti verso il primo Paese di arrivo. Così la Grecia, che era stata esclusa dal meccanismo per le condizioni di accoglienza dei migranti, deve mettersi in regola e prepararsi a riprendere chi ha toccato per la prima volta il suolo europeo in territorio ellenico. La Commissione ha intenzione di presentare un piano per tornare ad applicare Dublino alla Grecia prima del Consiglio europeo di giugno.
Per convincere gli Stati a fare il loro dovere, Bruxelles fa appello anche alle ricadute economiche della sospensione di Schengen. Secondo le stime della Commissione, un completo ristabilimento delle frontiere costerebbe tra i 5 e i 18 miliardi all’anno (una perdita del Pil tra lo 0,05% e lo 0,13%). Costi che peserebbero in particolare su alcuni Stati, come Polonia, Paesi Bassi e Germania che, secondo i calcoli dell’esecutivo Ue, dovrebbero sostenere almeno 500 milioni di costi in più per il trasporto su strada dei prodotti per il commercio. Altri, come Spagna e Repubblica Ceca, invece, vedrebbero costi aggiuntivi per le proprie imprese di 200 milioni almeno. I controlli ai confini costerebbero poi tra i 2 miliardi e mezzo e i 4 mililardi e mezzo agli 1,7 milioni di lavoratori transfrontalieri o alle imprese per cui lavorano a causa del tempo perso. E ancora 1,1 miliardo spenderebbero i governi per aumentare il personale necessario per i controlli alle frontiere.