Bruxelles – Se il buongiorno si vede dal mattino, quello del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, a partire da Vienna e poi giù lungo la rotta dei Balcani per arrivare in Grecia e Turchia, sarà un viaggio tutt’altro che semplice. Il compito è della massima importanza: tentare di riportare tutti i Paesi coinvolti nella gestione della crisi dei rifugiati all’ordine, convincerli che le soluzioni unilaterali non possono funzionare e prepararli ad accettare un piano comune nel corso dell’ennesimo vertice straordinario del prossimo lunedì a Bruxelles. Obiettivo arduo, come dimostra l’esito della prima tappa del viaggio. Oggi “apriamo un nuovo capitolo della nostra lotta alla crisi dei rifugiati chiamata ‘ritorno a Schengen’”, ha proclamato baldanzoso il presidente del Consiglio europeo, che da Vienna avrebbe voluto tornare forte di un impegno austriaco a riaprire le frontiere (chiuse già dal settembre scorso) e a ripensare al tetto massimo imposto all’accoglienza e al transito dei rifugiati e per nulla piaciuto a Bruxelles. Peccato che la risposta del cancelliere austriaco, Werner Faymann sia stata tutt’altra.
“Per noi Schengen e la cooperazione europea sono importanti”, ha assicurato Faymann, ma finché non ci sarà un controllo efficace delle frontiere esterne, i migranti “devono essere fermati lungo la rotta dei Balcani”, ha rivendicato, criticando la politica di ‘lasciarli passare’ messa in atto da diversi Paesi, Grecia in primis. Insomma le misure unilaterali decise da Vienna sono colpa del “caos disorganizzato” che regna in Europa, non ha fatto sconti il cancelliere. “L’Austria non è una sala d’attesa per la Germania”, ha anche chiarito, sottoscrivendo anche il tetto massimo di 37.500 rifugiati da accogliere nel 2016. “Se l’Europa agisse in modo simile all’Austria allora prenderebbe due milioni di persone”, ha calcolato, concludendo quindi che il Paese “è un buon esempio”. Vienna, ricorda il cancelliere, ha ricevuto lo scorso anno ben 90mila domande di asilo: “Mentirei alle persone se dicessi che possiamo continuare così e lasciare entrare quest’anno in Austria due, trecento o quattrocentomila persone. No, non lo possiamo fare”, ha concluso.
Insomma, almeno per adesso, niente da fare. L’Austria non rimuoverà i controlli alle frontiere né smetterà di limitare gli accessi. Eppure “due settimane fa i leader hanno concordato che dobbiamo tornare a una situazione in cui tutti gli Stati membri, senza eccezioni, applicano pienamente le regole comuni”, ha ricordato Tusk citando le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo. Al governo austriaco, Tusk tenta anche di spiegare che “il Paese che dobbiamo supportare in particolare è la Grecia”, contro cui invece l’Austria sta facendo blocco, per evitare che i migranti sbarcati sulle coste elleniche defluiscano verso nord. “Il numero di migranti che arrivano nel Paese è in aumento non perché vogliono che la Grecia diventi la loro casa, ma perché sperano da lì possano spostarsi verso gli altri Paesi europei”, ricorda il presidente del Consiglio. Una dimostrazione di spirito europeo, incita Tusk, sarebbe dunque quella “da un lato di tornare a Schengen e dall’altro di essere pronti a supportare Atene in questi tempi difficili”. Ma la strada per un risultato simile appare ancora lunga.