Roma – Una reintroduzione di controlli rigidi alle frontiere costerebbe all’Italia 10,3 miliardi. È la stima del centro studi della Cgia di Mestre. In un documento pubblicato dall’associazione degli artigiani e delle piccole e medie imprese, vengono prese in considerazioni le conseguenze che l’aumento dei tempi per l’attraversamento del confine avrebbe su 3 fronti: il turismo, l’attività dei lavoratori transfrontalieri, il trasporto merci. Gli scenari ipotizzati sono due. Nel primo si immagina una reintroduzione ‘soft’ dei controlli, nel secondo si prende in considerazione “un’attività più stringente della polizia di frontiera”.
Per il centro studi, controlli pur leggeri si tradurrebbero in un costo dello 0,3% di Pil all’anno, pari a 5,1 miliardi di euro, mentre un vero e proprio ripristino delle frontiere farebbe perdere lo 0,6% di Prodotto interno lordo, pari appunto a 10,3 miliardi. Il peso maggiore lo avvertirebbe il settore del trasporto merci, dove l’aumento dei tempi di attesa ai valichi manderebbe in fumo dai 4,8 ai 9,7 miliardi. Il settore turistico soffrirebbe perdite tra una i 233 e i 465 milioni di euro all’anno, principalmente a causa delle rinunce dei turisti giornalieri o che comunque si fermano per soggiorni molto brevi. Infine, rallentare il passaggio dei lavoratori transfrontalieri costerebbe tra i 53 3 i 230 milioni all’anno.