di Francesca Coin
Vorrei tornare un istante al maggio 2015, nel pieno delle negoziazioni tra la Grecia e la troika. Dopo mesi di discussioni svoltesi sotto il segno del ricatto, la Grecia minacciava di non pagare le rate del prestito dell’FMI perché non aveva i soldi per farlo; e i creditori facevano leva sulla linea di liquidità di emergenza (ELA) messa a disposizione dalla BCE per minacciare le banche elleniche.
In quei mesi, le cause del debito greco erano state dibattute dalla stampa internazionale in modo piuttosto semplice. La stampa aveva sostenuto con convinzione che la crisi del debito sovrano in Europa era responsabilità dei paesi periferici, “notoriamente” inclini a sperequare la spesa pubblica.
Nel cuore delle negoziazioni, la discussione era stata influenzata dal lavoro della Commissione per la verità sul debito pubblico, istituita dal governo Tsipras per volontà della presidente della Camera Zoe Konstantopoulou allo scopo di far luce sulle cause del debito greco. All’interno di un discorso politico tutto incentrato sulla cronaca degli eventi, a metà giugno 2015 la Commissione di verità sul debito mette in evidenza le violazioni legali associate con la sua gestione. Diventa di dominio pubblico, in quei giorni, che il primo piano di salvataggio approvato il 2 maggio 2010 era nato in condizioni di illegittimità al fine di operare non tanto un piano di soccorso dello stato ellenico bensì un salvataggio delle istituzioni finanziarie esposte con la Grecia. In quelle settimane la Commissione di verità sul debito greco afferma che il debito greco è illegale, illegittimo e odioso. Non solo: costituisce una diretta violazione dei diritti umani dei residenti della Grecia.
Chi ricorda quanto avvenuto la scorsa estate, ricorda forse anche come il 2 luglio lo stesso Fondo monetario internazionale sia stato costretto a diffondere un documento del proprio ufficio ricerche nel quale si sottolineava la strutturale insostenibilità del debito greco, il deterioramento delle condizioni macroeconomiche nel paese, la necessità di ristrutturare il debito e di alleviare le politiche di austerità. Un testo piuttosto esotico, aveva commentato all’epoca Varoufakis: non si è mai visto che il Fondo si sia trovato d’accordo con l’analisi economica del paese che intendeva devastare.
Nonostante siamo tutti consapevoli di quali nefaste conseguenze abbia avuto la capitolazione di Tsipras pochi giorni dopo quel 2 luglio 2015, rimane innegabile come l’istituzione della Commissione di verità sul debito greco sia riuscita in quelle settimane a scardinare il discorso mainstream. Il debito non era più solo “colpa greca”, bensì un affare ben più controverso, al punto che lo stesso FMI non poteva evitare di ammettere di avere qualche scheletro nell’armadio e numerose divisioni interne.
In generale, il discorso sul debito è sempre costruito attraverso la voce del creditore. È il creditore a usare il debito come leva per l’imposizione di politiche di austerità ed è il creditore a costruire una narrazione discorsiva fondata tutta sulla colpa del debitore. Il debito è anzitutto un soggetto la cui legittimità risiede in un rapporto di forza: è solo il rapporto di forza tra la Germania e la Grecia che impedisce alla Grecia di rivendicare, come sarebbe giusto, la riscossione dei debiti di guerra da parte della Germania. È esattamente quella narrazione che la commissione sul debito è riuscita a rovesciare.
Ho trascorso molto tempo con alcuni membri della Commissione di verità sul debito greco. Una delle cose più interessanti che raccontano è come, nel lungo processo dal basso che ha portato alla sua istituzione, la proposta di una Commissione fosse mal vista da tutti. La sinistra radicale dice che l’audit è una iniziativa riformista, e la sinistra riformista dice che è troppo radicale. Forse precisamente per questa capacità di creare spazio tra divisioni improduttive, la Commissione sul debito ha avuto una importanza centrale. Il punto è che lo scopo primo di un audit sul debito non è decidere cosa fare del debito, è colmare il gap informativo che impedisce alla popolazione di avere il controllo sulla trasparenza e la legittimità del debito e affermare la verità del debitore. È questo il primo passo verso l’autodeterminazione della politica sul debito, ovvero la scelta da parte dello Stato di quale parte del debito pagare e se pagarla.
In questi mesi l’audit del debito è stato usato varie volte nei paesi del Sud Europa. Dall’Auditoría Ciudadana de la Deuda istituita a livello cittadino in Spagna, alla Commissione di verità sul debito pubblico in Grecia, la logica era rimettere il discorso sul debito nelle mani della popolazione. «Non ci si può aspettare che uno Stato chiuda le sue scuole, le università e i tribunali, che lasci la sua comunità nel caos e nell’anarchia senza nessuna protezione pubblica e sociale semplicemente per avere a disposizione del denaro per ripagare i suoi creditori internazionali e nazionali», ha sostenuto la Commissione del diritto internazionale dell’ONU.
In Italia come in Grecia, nell’ultimo quarto di secolo il discorso sul debito si è presentato come una colpa causata dalla brutta abitudine che hanno i paesi del Mediterraneo di “vivere al di sopra delle proprie possibilità”. Su questo assunto si è fondata una politica di austerità e contenimento della spesa pubblica esercitata attraverso processi di privatizzazione, precarizzazione e taglio alla spesa sociale. Il problema è che, in Italia come in Grecia oppure in Spagna, l’elevato debito non dipende dalla spesa pubblica. L’Italia negli ultimi vent’anni ha avuto quasi sempre un avanzo primario al netto del pagamento degli interessi sul debito, in altre parole, una spesa pubblica regolarmente inferiore alle entrate. Nonostante ciò, tale politica virtuosa non ha condotto a una decisiva riduzione del debito, bensì alla sua crescita. Il debito dipende soprattutto dall’impatto della crisi dei mutui subprime nel 2007 sulla crisi del debito sovrano in Europa, dall’austerità e dagli squilibri intra-europei, che impongono al debito delle periferie di continuare a crescere parallelamente al surplus tedesco.
In questo contesto è urgente tornare a parlare di debito a partire precisamente dall’audit. È necessario restituire trasparenza a un tema troppo spesso caratterizzato dall’oscurità, come testimoniato di recente dalla pubblicazione del primo Rapporto sul debito pubblico in Italia, un testo indiscutibilmente utile che, tuttavia, genera più domande di quelle a cui offra risposta.
Pubblicato sul Granello di Sabbio n. 23 di gennaio-febbraio 2016.