Roma – Per sbloccare la partita sulle unioni civili, alla fine il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è stato costretto all’intervento pesante chiedendo al Senato il cinquantesimo voto di fiducia su un emendamento che ha cancellato dal disegno di legge Cirinnà il capitolo sull’adozione del figlio del partner, la cosiddetta stepchild adoption. Fiducia accordata dall’Aula di Palazzo Madama, con 173 sì, 71 no e nessun astenuto. Su Twitter la soddisfazione dello stesso Renzi in un cinguettio che rimanda alla sua pagina Facebook dove sottolinea che “la giornata di oggi resterà nella cronaca di questa legislatura e nella storia del nostro Paese”.
https://twitter.com/matteorenzi/status/702920221032587264
La forzatura del premier – in molti hanno criticato l’opportunità di porre la questione di fiducia su un tema morale, sul quale non a caso lo stesso Renzi aveva dichiarato di voler lasciare libertà di coscienza – gli è costata un paio di defezioni di senatori dem. Felice Casson non ha partecipato al voto non condividendo “né politicamente, né costituzionalmente, la soluzione trovata”.
Allo stesso modo si è comportato Luigi Manconi, che è stato molto duro nel criticare proprio l’aspetto che rischia di attirarsi anche le attenzioni della Corte europea dei diritti dell’uomo: la mancata estensione alle coppie omosessuali della possibilità per un partner di adottare il figlio naturale dell’altro. Per Manconi, “il motivo ispiratore e più profondo” della legge era il “richiamo al principio di non discriminazione”. Un fondamento che a suo avviso è venuto meno “con lo stralcio dell’articolo 5” sulla ‘stepchild adoption’, che ha “introdotto un fattore di sperequazione assai grave”, ha spiegato il senatore, soprattutto “tra i figli destinati all’adozione di coppie omosessuali e quelli destinati alle coppie eterosessuali”.
Un aspetto sottolineato anche dal presidente della commissione Politiche Ue di Palazzo Madama, Vannino Chiti, che pur esprimendo soddisfazione per il primo sì alle unioni civili, ha auspicato che la Camera approvi definitivamente la legge, “così da affrontare la riforma complessiva delle adozioni”. Il tema stralciato dal testo Cirinnà, infatti, è stato rinviato a un provvedimento separato, che però sarà molto difficile far approvare in questa legislatura, viste le enormi resistenze che si sono già manifestate.
L’ok del Senato alle unioni civili è stato garantito anche dai voti di Ala, il gruppo dell’ex forzista Denis Verdini. E proprio da Forza Italia, con Deborah Bergamini, è arrivata la denuncia di un cambiamento di maggioranza parlamentare. Ala è una forza di opposizione ed è la prima volta che vota la fiducia al governo, anche se a Palazzo Madama votò con la maggioranza pure la riforma costituzionale, dunque “il presidente del Consiglio non può esimersi dal recarsi al Quirinale perché la maggioranza su cui poggiava il suo mandato non esiste più”, chiede Bergamini. Parere condiviso dal deputato Arturo Scotto di Sinistra italiana, che su Twitter scrive: “In un paese normale, Renzi dovrebbe andare al Quirinale”
Con #Verdini in maggioranza nasce nuova base parlamentare a sostegno del #Governo. In un paese normale #Renzi dovrebbe andare al Quirinale.
— Arturo Scotto (@Arturo_Scotto) February 25, 2016
Ma l’ipotesi viene respinta dal capogruppo Pd al Senato, Luigi Zanda, e dall’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, secondo il quale i voti dei verdiniani non sono stati determinanti ma “aggiuntivi”. Il presidente emerito si è poi detto “sollevato” perché, a suo avviso, “l’importante è che la maggioranza di governo si sia ricompattata anche su questo provvedimento”. Eppure la maggioranza, per la verità, oltre che tra i senatori dem ha sofferto di insubordinazioni, per motivi opposti, anche nell’Ncd, dove Maurizio Sacconi, Roberto Formigoni e Aldo Di Biagio si sono distinti dal gruppo non votando la fiducia.