Bruxelles – Ormai nessuno si preoccupa più di moderare i toni allarmistici. L’Europa? Dieci giorni e tutto potrebbe collassare. La crisi umanitaria? È un’ipotesi molto vicina e molto reale. Con una situazione che appare ogni ora sempre più fuori controllo, la Commissione europea non nasconde più l’inquietudine e al termine dell’ennesima riunione dei ministri dell’Interno che si conclude con il mantra “bisogna applicare le decisioni prese”, mostra di avere decisamente perso la pazienza. “Nei prossimi dieci giorni servono segnali chiari sul terreno o il sistema rischia di collassare del tutto”, scandisceil commissario all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos, secondo cui ci troviamo di fronte a un “crash test per l’Europa, le istituzioni, i governi nazionali, il sistema politico europeo e la società europea”. Per evitare il peggio, secondo il commissario, occorre smetterla con le “soluzioni solitarie o unilaterali”: a quelli che sostengono che “dobbiamo applicare soluzioni nazionali perché un approccio europeo non funziona io dico che è precisamente il contrario, le azioni unilaterali stanno ostacolando una soluzione europea”.
Una tirata d’orecchie, neanche tanto velata, a Vienna, che dopo avere introdotto un tetto massimo al numero dei rifugiati da accogliere e lasciare transitare, ha organizzato, insieme ai Paesi della rotta dei Balcani, una riunione per capire come ridurre i flussi e ha deciso di tagliare fuori la Grecia. La decisione non ha mancato di suscitare le ire di Atene che, dopo una protesta formale, ha anche richiamato in patria l’ambasciatore a Vienna. Il diplomatico “è stato richiamato per consultazioni, non c’è stata una rottura delle relazioni con l’Austria”, tenta di abbassare i toni il commissario (greco). Ma Atene sembra essersi decisamente stancata e non è difficile capire perché. I Paesi riuniti ieri a Vienna hanno concordato di “ridurre sostanzialmente” il flusso di migranti e di lasciare transitare solo quelli “in chiara necessità di protezione”. Il che significa soltanto siriani e iracheni, ma esclude i cittadini afghani, tra i più numerosi in arrivo sulle coste greche. Un problema non da poco per Atene, visto che una decisione simile già messa in atto in questi giorni da parte della Macedonia ha già bloccato al confine settentrionale della Grecia circa 12mila persone.
La situazione insomma è complessa e la Commissione europea non lo nasconde. “Lungo la rotta dei Balcani la situazione è molto critica e la possibilità di una crisi umanitaria su larga scala c’è ed è molto reale e molto vicina”, ammette Avramopoulos. L’esecutivo Ue ha già chiesto a tutti gli Stati della zona di preparare dei piani di emergenza per essere pronti a fare fronte alle necessità dei rifugiati, aumentando per prima cosa le capacità di accoglienza, ma “i piani d’emergenza non possono rimpiazzare le regole”, ricorda Avramopoulos.
Ad aumentare le tensioni c’è poi il caso ungherese, con Viktor Orban che ha annunciato un referendum sul sistema di relocation deciso a livello europeo per trasferire una parte di rifugiati da Italia e Grecia verso gli altri Paesi Ue. Per il momento la Commissione ha soltanto “chiesto più informazioni”, riporta Avramopoulos, ma il problema è chiaro. “Quello che deve essere fatto sulle relocation è una decisione vincolante presa da tutti gli Stati membri”, ricorda il commissario. La decisione fu presa a maggioranza qualificata con il voto contrario di Budapest ma gli effetti non cambiano.
E le decisioni individuali non piacciono alla Commissione, ma nemmeno agli altri Stati membri: nel corso della riunione “è emerso con grande evidenza il dissenso” riporta il ministro dell’Interno italiano, Angelino Alfano, verso “le soluzioni nazionali individuali, solitarie che si possono rivelare una grande illusione controproducente. La strada gusta – è convinta l’Italia – è la strada di lavorare insieme perché solo così si può salvare l’Europa di fronte a questo bivio decisivo”.