Roma – “Crediamo che introdurre quote per la ricollocazione di migranti senza il sostegno della gente equivalga a un abuso di potere”. Così il primo ministro ungherese, Victor Orban, ha annunciato la decisione assunta stamane dal suo esecutivo di indire un referendum popolare per chiedere ai propri connazionali un parere sulla decisione europea di ripartire quote di rifugiati tra tutti gli Stati membri.
“E’ d’accordo sul fatto che, senza l’autorizzazione del Parlamento nazionale, l’Unione europea possa obbligare l’Ungheria ad accogliere ricollocamenti di cittadini stranieri sul suo territorio?”. Sono questi i termini in cui verrà posto il quesito referendario. Per indire la consultazione servono 200 mila firme, che con ogni probabilità non tarderanno ad arrivare, e visti anche i termini in cui è posta la questione, la vittoria del no appare pressoché scontata.
Dall’Italia è arrivata la reazione critica del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che a margine dell’incontro con il suo omologo croato, Miro Kovac, ha sottolineato di non voler mettere in discussione la legittimità della scelta di Orban, biasimandola però dal punto di vista “politico”. Il titolare della Farnesina non crede si “possa gestire la crisi migratoria, nell’Ue, con singoli Paesi che demandano decisioni ai propri cittadini per incrinare quelle comuni prese a livello europeo”. Per il ministro, percorrere strade come quella imboccata dal premier ungherese crea “precedenti che potrebbero essere negativi e persino pericolosi”. Se questa pratica “diventerà contagiosa – è il monito del titolare degli Esteri – può mettere in crisi le basi su cui l’Ue poggia”.
Si ingarbuglia ulteriormente, dunque, la matassa della gestione dei flussi migratori che i 28 dovranno sbrogliare nel Consiglio europeo straordinario di marzo. E neppure Zagabria sembra facilitare le cose, dal momento che “si atterrà alle politiche dei vicini”, come ha spiegato Kovac dopo il colloquio con Gentiloni. “Se gli amici austriaci o sloveni continueranno a far passare i migranti sul loro territorio, noi siamo pronti a fare lo stesso”, ha aggiunto, ma una cosa è certa: “La Croazia non diventerà un hotspot dell’Ue”.