Britannia leave the EU
We will, we will be much better without you.
L’accordo raggiunto a Bruxelles per sventare l’uscita del Regno Unito dall’UE è l’ennesima pezza su un tessuto che a forza di rattoppi non tiene più. Il dibattito sul cosiddetto Brexit partiva fin dall’inizio da presupposti sbagliati e non poteva che produrre un risultato che certo ha una verità politica ma che è viziato da una flagrante falsità culturale. Durante la campagna di opinione che si è tenuta nel Regno Unito prima del vertice europeo si è sistematicamente parlato dell’adesione all’UE come se si trattasse di una società per azioni. Il dibattito inglese era tutto incentrato sulla convenienza, sul buon affare, sul ritorno economico. Mai si è posta la questione della costruzione politica, dell’ideale di un’Europa unita, di quel progetto rivoluzionario scaturito dalle rovine della Seconda Guerra mondiale con il quale statisti coraggiosi mai più visti da allora nelle cancellerie europee avevano immaginato un’Europa nuova, una superpotenza di pace, una forza tranquilla che con il suo peso culturale e politico avrebbe influenzato il mondo intero. Nella totale distorsione della questione, Cameron prometteva che avrebbe strappato all’Unione europea un contratto vantaggioso per Londra, addirittura uno “status speciale”.
Nessuno gli ha mai fatto notare che l’Unione europea non è il circolo del tennis a cui si può strappare uno sconto di iscrizione ma un’organizzazione internazionale fondata sull’uguaglianza dei suoi membri. Fra le varie e meschine concessioni, ora il Regno Unito ha ottenuto di essere escluso dal principio dei trattati europei che mira a costruire un’unione sempre più stretta fra i suoi Stati membri. Se si contano le clausole di esclusione di cui gode Londra viene da chiedersi a quale Europa ormai aderisca il Regno Unito. Un’Europa tutta sua, cucita su misura, che se offre il vantaggio di tenere gli inglesi dentro apre anche il varco ad altre richieste di statuti speciali che allora porterebbero inesorabilmente allo sgretolamento di tutta la costruzione europea. Del resto già adesso non sono molto diverse da quelle inglesi le posizioni di alcuni Stati dell’ex Europa comunista che hanno sempre visto l’adesione all’UE solo come un riscatto politico dopo l’umiliazione del giogo sovietico e un’opportunità di finanziamento delle loro economie devastate. Gli egoismi e le ottusità di alcuni di questi paesi gettano un’ombra sull’opportunità degli ultimi allargamenti e dovrebbero essere un segnale d’allarme per quelli futuri. Forse si sarebbe dovuto fare un corso di cultura europea come quelli che facciamo oggi ai profughi siriani anche a certi europei dell’est. Tornando al Regno Unito, ora lo status inglese diventa sempre più simile a quello di un paese EFTA, come Svizzera o Norvegia, che a un vero Stato membro dell’UE. Ma soprattutto la rinuncia ad un’unione sempre più stretta è la falla che stacca definitivamente il Regno Unito da Bruxelles.
La Manica oggi si allarga di una distanza adesso ancora impercettibile ma che nessun Eurotunnel colmerà più. Molto probabilmente al referendum di giugno Cameron riuscirà a strappare agli inglesi un sì all’Europa. Ma l’Europa che intendono loro non sarà più quella che si intende da quest’altra parte della Manica. Pur con tutte le debolezze e i tentennamenti di questo momento difficile, l’Europa dell’euro va inesorabilmente verso una maggiore coesione e se non saranno i suoi governi, saranno le emergenze della modernità a farle trovare gli aggiustamenti politici di cui ha bisogno per esistere e rafforzarsi in quella costruzione politica che è da sempre il suo destino e che la Commissione europea ha nel proprio patrimonio genetico. È innegabile che l’idea di Europa è molto complessa e difficile da delineare. Il tentativo fallito di una costituzione che ne definisse i fondamenti ne è la prova. Il pensatore francese Rémi Brague afferma che il grande dilemma dell’Europa è che trae la propria identità al di fuori o ai margini di sé. Atene e Gerusalemme sono le nostre matrici. L’Atene del pensiero greco e la Gerusalemme delle due religioni del libro rielaborate dalla romanità. Brague va avanti sostenendo che appunto nella romanità l’Europa trova i suoi naturali confini ideali. Ma qui si perde anche questa teoria, perché la romanità è molteplice, è medievale, germanica e bizantina, in una certa misura perfino slava e soprattutto, come ogni identità, è in movimento. Oggi sicuramente non è inglese, o meglio non lo è più, e chissà che liberata dalla zavorra degli ipocriti droghieri d’Oltremanica l’Europa vera non trovi finalmente la sua via.