Roma – Per proseguire l’integrazione europea è “la prospettiva federale che dovrebbe portarci lontano. Abbiamo il sogno che alla fine di questo percorso ci possano essere gli Stati uniti d’Europa”. La presidente della Camera, Laura Boldrini, continua a battere sul tasto del federalismo europeo. Lo fa aprendo l’incontro con gli accademici della ‘Rete universitaria verso l’Unione politica’, che si è tenuto oggi a Montecitorio. E se vogliamo portare avanti questo percorso, indica, “non dobbiamo scandalizzarci all’idea di 2 cerchi” per l’Europa: uno a 28, l’altro corrispondente all’Area Euro.
Questa nuova Eurozona federale, immagina la terza carica dello Stato, “dovrebbe avere un ministro delle Finanzie con risorse proprie”, ma non solo. “È necessario andare anche oltre”, precisa Boldrini, prevedendo “un ministro dell’Economia che si occupi delle politiche del lavoro e di quelle industriali, un ministro per le politiche sociali”. In sostanza, prosegue, è necessario “un assetto completo di governo” e “non solo un superministro messo lì a controllare i conti degli Stati e nient’altro”.
Un concetto analogo lo ha espresso il presidente della commissione Politiche Ue della Camera, Michele Bordo. Per no rendere il percorso federale “meramente funzionale al rafforzamento del controllo sui bilanci e sulle riforme strutturali nazionali”, occorre che a un ministro europeo del tesoro “sia dato l’incarico di promuovere la crescita e l’occupazione, utilizzando risorse adeguate a livello europeo”.
Si apre poi la questione di dare “legittimità democratica” a questo esecutivo, riflette ancora Boldrini. Non ha in mente una soluzione prestabilita, ma se avere un altro Parlamento solo per la Zona Euro lascia perplessità riguardo alla moltiplicazione delle istituzioni e dei costi della politica, allora si potrebbe pensare a un organismo formato da “rappresentanze dei parlamenti nazionali” dei Paesi che hanno adottato la moneta unica.
Per costruire “un demos europeo”, altro elemento essenziale per l’avanzamento del percorso di integrazione, l’inquilina di Montecitorio rilancia la proposta dell’armonizzazione delle norme per l’ottenimento della cittadinanza europea – in modo che non sia più solo una “derivazione” di quella nazionale – e di legare questa cittadinanza “ai diritti”, a partire da “un reddito minimo di dignità erogato dall’Unione europea e non dagli stati nazionali”. Inoltre è necessario “rafforzare gli strumenti di partecipazione”, come l’istituto dell’iniziativa legislativa dei cittadini europei che attualmente è “un miraggio”, secondo la presidente, perché “finora 6 milioni di cittadini hanno sostenuto 51 proposte” e “di queste sono state dichiarate ricevibili solo 3”.
Quello della partecipazione popolare è un elemento a cui Boldrini riserva un’attenzione particolare. È per “coinvolgere la società civile”, spiega, che ha “avviato la consultazione pubblica, aperta a tutte e a tutti, in particolare a voi giovani, per sapere come vorreste l’Europa”. L’iniziativa “ha avuto 1.200 adesioni” solo nella prima giornata, ha illustrato la presidente, annunciando che creerà un “comitato di saggi” per elaborare i risultati della consultazione e stendere, a partire da questi, “un documento che sia l’inizio del progetto di ‘Eutopia’” – un gioco di parole nato dalla fusione delle parole Europa e utopia per indicare il sogno degli Stati uniti d’Europa – e che verrà presentato ad agosto, a Ventotene, nel corso di un evento organizzato dai Giovani federalisti europei.
Oltre alla costruzione dell’Europa futura, Boldrini volge il suo sguardo a quella attuale per lanciare aspre critiche a “quello che alcuni Stati membri, a mio avviso inopinatamente, chiedono” ad Atene sul fronte dei migranti. “Se oggi si parla di una mini-Schengen”, un’area di libera circolazione ristretta, che tenga “fuori la Grecia perché ottempera al diritto” dei migranti a non essere respinti, prosegue la presidente della Camera, “è il fallimento dei nostri principi” europei. Per evitarlo, il fallimento, serve non una chiusura nei confronti di Atene, indica la terza carica dello Stato, ma un sostegno e una condivisione delle politiche di accoglienza, opponendosi all’idea che il fenomeno si governi erigendo muri e barriere.