Bruxelles – Vista la gelida accoglienza riservata in patria alla prima bozza di compromesso offerta da Bruxelles, strappare qualcosa in più nei negoziati sulla Brexit, sarebbe per David Cameron assolutamente fondamentale. E invece dopo giorni di discussioni a livello tecnico, Londra sembra non essere riuscita a portare a casa alcun progresso, anzi. La seconda bozza di accordo trapelata dopo le discussioni degli sherpa, mostra, rispetto al testo originale, soltanto piccole modifiche, per lo più per rispondere alle preoccupazioni degli Stati membri più restii ad accogliere le richieste del premier britannico. Restano invece ancora tutte da risolvere le questioni politiche principali, che saranno abbordate soltanto dai capi di Stato e di governo, durante il summit della prossima settimana. Nel testo resta ad esempio una parentesi da riempire per la durata esatta del periodo durante cui potrà essere applicato l’”emergency break” che consentirà a Londra di sospendere per quattro anni i benefit ai lavoratori di altri Paesi Ue che si trasferiscono in Gran Bretagna.
Welfare per stranieri – Sempre in tema di immigrazione, la nuova bozza di testo specifica che l’esclusione dei cittadini degli altri Stati europei dal sistema di welfare potrà essere applicata soltanto da quei Paesi che “non hanno fatto uso dei periodi di transizione” per limitare l’ingresso di lavoratori stranieri dopo gli allarganenti del 2004 e del 2007 e cioè Gran Bretagna, Irlanda e Svezia. Un’aggiunta che risponde alle richieste dei Paesi dell’est europeo, preoccupati che altri Stati Ue come Austria e Germania potessero voler beneficiare della stessa clausola di salvaguardia studiata per Cameron.
Benefit per figli all’estero – Un’altra novità del testo riguarda la possibilità offerta a Londra di adattare l’ammontare dei benefit che i lavoratori europei residenti nel Regno Unito possono ricevere per i figli all’estero, al costo della vita nel Paese. Questa possibilità, si specifica nella nuova bozza, “non sarà estesa ad altri tipi di benefit esportabili, come le pensioni di vecchiaia”.
Governance economica – Gli altri principali cambiamenti al testo riguardano invece la parte della governance economica. Qui sembrano avere avuto la meglio i Paesi che, come la Francia, temevano che le richieste di Cameron aprissero la strada ad un’Europa in cui ogni Paese era libero di scegliere se integrarsi o meno e in quale misura. Il nuovo testo chiede “sincera cooperazione” tra gli Stati membri dell’area euro e quelli che non hanno adottato la moneta unica, ma soprattutto ricorda che per tutti gli Stati che non godono di specifici opt-out, come Gran Bretagna e Danimarca, l’obiettivo è quello di adottare la moneta unica. Questi, specifica il testo, “sono impegnati secondo i trattati a fare progressi verso il raggiungimento delle condizioni necessarie per l’adozione della moneta unica”.
L’ultima chance per Cameron – Insomma qualche rassicurazione per rendere più digeribile l’accordo agli altri ventisette, ma nulla per Cameron, per cui il rischio principale sta diventando quello di non riuscire a vendere l’accordo ai propri connazionali. Se infatti il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha parlato di un “processo politico fragile” per evitare la Brexit e si è lanciato in bilaterali coi leader di mezza Europa, i sondaggi continuano a mostrare cittadini britannici sempre più tentati da un’uscita dall’Unione europea. L’unica soluzione per tornare a Londra da vincitore, per il premier britannico, è a questo punto strappare qualcosa al summit della prossima settimana, che diventa sempre più cruciale.