Bruxelles – Lenta sugli hotspot, scarsa sui rimpatri, vittima della poca generosità degli altri Paesi sui ricollocamenti. È a grandi linee questa la fotografia dell’Italia, scattata dall’ultimo report della Commissione europea per fare il punto, in vista del Consiglio europeo della prossima settimana, sulla messa in atto delle misure per fare fronte alla crisi dei rifugiati da parte dei Paesi più sotto pressione. Il primo rimprovero da parte di Bruxelles nei confronti del nostro Paese è sempre per la lentezza nella messa in atto degli hotspot che dovrebbero identificare e registrare tutti i migranti in arrivo. Per ora ne sono pienamente attivi soltanto due sui sei preventivati: le strutture funzionanti sono quelle di Lampedusa e Pozzallo, ma a breve dovrebbe entrare a pieno regime anche il centro di Trapani. Più indietro le strutture di Taranto, dove i lavori sono in fase di completamento e di Augusta e Porto Empedocle di cui addirittura i progetti devono ancora essere ultimati.
Un’attuazione “lenta”, critica Bruxelles, secondo cui il ritmo blando è dovuto “in parte alla necessità di costruire da zero” gli hotspot e “in parte alle carenze a livello di infrastrutture, di personale e di coordinamento”. Mancanze a cui occorre rimediare rapidamente, ricorda l’esecutivo Ue, visto che tutte le strutture sono “essenziali in vista del probabile aumento dei flussi migratori durante l’estate”. C’è comunque anche qualche aspetto positivo, concede la Commissione, visto che la proporzione di migranti registrati è cresciuta dal 36% di settembre 2015 fino all’87% di gennaio 2016. Secondo la Commissione, una volta che l’Italia avrà reso funzionanti tutti e sei i centri, avrà la capacità di registrare 2.160 migranti al giorno, più di quanti ne siano sbarcati quotidianamente nel mese di gennaio. Questi numeri “significano un miglioramento significativo”, commenta il commissario Ue all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, che ricorda però: “Dobbiamo raggiungere il 100% di registrazioni”.
Troppo poco, secondo Bruxelles, il nostro Paese sta facendo anche in tema di ritorni dei migranti irregolari. L’Italia, spiega il report della Commissione, ha condotto nel 2015 14mila ritorni forzati di persone che non hanno diritto di asilo e ha partecipato a 11 voli congiunti con altri Stati membri organizzati da Frontex per il rimpatrio di richiedenti asilo. “Questo rimane insufficiente – sottolinea l’esecutivo Ue – nel contesto degli oltre 160mila arrivi del 2015”.
Indietrissimo, ma in questo caso non solo per colpa nostra, siamo anche sul fronte ricollocamenti. In barba allo schema che prevedeva 39.600 trasferimenti di rifugiati dall’Italia verso altri Paesi europei nel giro di due anni, dal nostro Paese sono partite appena 279 persone (altre 200 richieste di ricollocamenti sono state inviate agli altri Stati membri ma non hanno ancora ottenuto risposta). A questi ritmi ci vorrebbero un centinaio di anni (e non certo due) per ultimare i trasferimenti. La responsabilità è in buona parte degli altri Stati membri, visto che fino ad ora soltanto 15 si sono proclamati disponibili all’accoglienza mettendo a disposizione in tutto 966 posti, troppo pochi. Ma la lentezza, nel caso del nostro Paese, è dovuta anche, spiega la Commissione, al fatto che in Italia arriva uno scarso numero di migranti “candidabili” ad essere ricollocati. La maggioranza degli arrivi è infatti costituita da migranti economici che andrebbero rimandati indietro. Non va meglio in Grecia, da cui sono partiti appena 218 rifugiati sui 66.400 che dovrebbero lasciare il Paese in due anni.
Una carenza, tiene a sottolineare la Commissione, per cui bisogna biasimare non Bruxelles ma gli Stati membri che hanno dimostrato scarsa disponibilità. Per questo oggi l’esecutivo europeo ha inviato alle capitali (escluse Roma ed Atene), una lettera per ricordare gli obblighi derivanti dagli accordi sulle relocation da Italia e Grecia e per chiedere una netta accelerazione nell’assistere i due Paesi. Un richiamo all’ordine che non sarà seguito, in caso di mancati effetti, da nessun atto concreto visto che una procedura di infrazione nei confronti degli Stati che non collaborano, ricordano da Bruxelles, ci metterebbe mesi a sortire qualche effetto e non può dunque contribuire ad accelerare il sistema.