Roma – La proposta lanciata nel fine settimana dal presidente del Consiglio Matteo Renzi – organizzare le primarie per la selezione dei candidati alla presidenza della Commmissione europea – verrà discussa al prossimo incontro tra i segretari dei partiti aderenti alla famiglia socialista europea. Lo rivela il capogruppo S&D al Parlamento europeo, Gianni Pittella, che in una intervista a Eunews esprime perplessità sulla figura di un ministro delle Finanze per l’Eurozona e torna a incalzare capo dell’esecutivo comunitario, Jean Claude Juncker, sulla flessibilità.
Presidente Pitella, Renzi ha proposto primarie per i candidati alla presidenza della Commissione europea. Popolari e Verdi, alle elezioni 2014, avevano già adottato una forma di consultazione preventiva. È un sistema da istituzionalizzare?
Più si politicizza lo scontro per la presidenza della Commissione, più si sottrae questa decisione alla mediazione tra i governi e più si coinvolgono i cittadini come è giusto fare. L’idea di Renzi non è affatto peregrina e merita di essere discussa all’interno del Partito socialista europeo. Ho parlato con il presidente del Pse, Sergei Stanisev, e so che intende aprire una discussione su questo alla prossima riunione dei segretari generali dei partiti che aderiscono al Pse.
Alle passate europee, quasi ogni lista aveva un suo candidato alla guida della Commissione. Alla fine è stato scelto Juncker, designato dai popolari che hanno vinto. Tuttavia, nulla avrebbe vietato al Consiglio di indicare un altro nome. Serve l’elezione diretta del presidente della Commissione?
Il punto è che per fare l’elezione diretta c’è bisogno di rivedere i trattati. Se fosse possibile farlo sarebbe meglio, ma non vedo oggi i margini per una revisione dei trattati. Tanto più che abbiamo escluso, per le richieste che ci venivano dal Regno unito, una revisione dei trattati a breve termine. Non so se nel prosieguo della legislatura ci saranno le condizioni. Però, se si aprisse questa opportunità, la coglierei al balzo per inserire la possibilità che i cittadini eleggano direttamente il presidente della Commissione con una crocetta sul nome del candidato.
L’Italia sta provando ad aprire uno spazio per la revisione dei trattati europei. L’intenzione è arrivare al 2017 già con una piattaforma concreta da mettere in atto. È un obiettivo realistico?
Per riformare le istituzioni europee ci sono cose che si possono fare a trattati vigenti, non bisogna aspettarne la modifica. Per snellire ulteriormente le procedure, rendere le decisioni più efficaci e rapide non c’è bisogno di modificare i trattati. Ci sono altre cose, invece, che richiedono espressamente una revisione delle regole. Se a giugno supereremo brillantemente il referendum sulla permanenza del Regno unito nell’Ue – con una vittoria che mi auguro significativa di chi vuol rimanere nell’Unione europea – nella seconda parte della legislatura ci sarà tutta una fase che potremo dedicare a capire quali siano le modifiche dei trattati praticabili. Si potrebbe anche pensare a una nuova convenzione, che però ruoti attorno a un ruolo centrale del Parlamento europeo. Penso che il Parlamento europeo non debba rinunciare alla sua funzione di pilastro che concorre a cambiare le regole che non vanno.
Tra le cose da fare senza cambiare le regole, Renzi indica l’adozione di politiche economiche più flessibili. Sarebbe più facile adottarle se ci fosse il ministro unico delle Finanze per l’area euro di cui si discute?
L’austerità si cambia attraverso una revisione della politica, non dei trattati. Fa bene Renzi a fare una battaglia, che è anche quella dei Socialisti democratici, per dire sì al consolidamento dei conti pubblici ma no a un’austerità cieca e sorda. Per altro, lo stesso presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, nell’ultima sessione plenaria dell’Europarlamento, a Strasburgo, ha detto proprio queste cose. Ci aspettiamo che sia conseguente. E ci aspettiamo che lo sia anche con quanto concordato con la coalizione che lo ha sostenuto. Al momento della nascita del suo esecutivo si disse: non cambiamo il Patto di stabilità ma attuiamo nella sua pienezza la flessibilità prevista, perché questo consente di proseguire con il risanamento dei conti pubblici e, allo stesso tempo, di non far mancare risorse agli investimenti per la crescita e il lavoro.
E dell’ipotesi di cui si è tornati a discutere, istituire un ministro delle Finanze per l’Eurozona, che ne pensa?
Messa così, la proposta può voler dire tutto e niente. Ministro delle finanze europeo significa una sorta di commissariamento di Bruxelles per qualcuno? Significa una definizione dei bilanci a livello accentrato, togliendo questo potere ai governi e ai Parlamenti nazionali? O vuol dire invece varare un bilancio comunitario che sia all’altezza delle sfide, con risorse proprie. E poi, è un ministro del tesoro solo dell’Area Euro o di tutta l’Unione europea? Senza definire questi nodi è una proposta molto generica.
Ieri ha detto “basta deleghe in bianco alla Banca centrale europea”. Ha in mente una restituzione della sovranità monetaria alla politica, anche se europea e non più nazionale?
Per molti mesi siamo stati aiutati da una leadership particolarmente lungimirante ed efficace, quella del governatore Mario Draghi, che ha usato la leva monetaria. Ma come lui stesso ha ammesso molte volte, non basta la leva monetaria, bisogna avere una politica economica. Noi ne vogliamo una che accompagni agli effetti positivi della politica monetaria di Draghi, quelli di una politica economica che non si concentri sull’austerità ma dia spazio agli investimenti. Questa economia deve crescere e i drammi sociali che sta vivendo l’Europa devono essere eliminati attraverso politiche economiche in grado di favorire la creazione di nuovi, e molti, posti di lavoro.
Non sfugga alla domanda. La Bce deve diventare prestatore di ultima istanza?
Per me sì. Ma questo fa parte delle grandi riforme a cui dobbiamo lavorare nella seconda parte della legislatura.