Roma – “Per scegliere il prossimo presidente della Commissione europea, come democratici italiani, chiederemo le primarie perché non se ne può più della tecnocrazia che non sa dove sta la relazione con la gente”. Dalla scuola politica del Pd, il segretario-premier, Matteo Renzi, ha lanciato il suo ennesimo attacco ai “tecnocrati di Bruxelles”, espressione usata in altre occasioni, e ha colto l’occasione per mettere sul tavolo una proposta di preselezione del candidato alla presidenza dell’esecutivo europeo. Renzi pensa al candidato del Pse, e parla di “primarie per il partito socialista europeo”.
In base ai trattati spetta al Consiglio europeo trovare un accordo sulla figura del presidente della Commissione da sottoporre al Parlamento europeo per la nomina. Tuttavia, alle passate elezioni del maggio 2014, per la prima volta, tutte le famiglie politiche europee hanno concordato di indicare in campagna elettorale ognuna il proprio candidato alla guida della Commissione. Dopo il successo elettorale del Ppe, in effetti, l’accordo tra gli stessi popolari e i socialisti europei, rivelatosi necessario per costituire una maggioranza all’Europarlamento, ha confermato la scelta del candidato dei popolari indicato durante le elezioni, Jean Claude Juncker. E Juncker a sua volta era stato scelto con un congresso del partito che lo aveva visto confrontarsi con il francese il francese Michel Barnier, e il lettone Valdis Dombrovskis, che però si era tirato poi indietro prima delle votazioni interne. Così come Ska Keller, la candidata dei Verdi, fu scelta in seguito a delle primarie online. Insomma fu il Pse a non chiamare a raccolta in nessun modo i propri iscritti e preferì decidere in maniera verticistica di puntare su Martin Schulz.
Con il dibattito aperto su una riforma dei trattati, la nuova modalità di indicazione del presidente della Commissione potrebbe essere istituzionalizzata al pari della proposta di Renzi sulle primarie per la scelta dei candidati. In alternativa, le primarie potrebbero essere adottate anche dal solo Pse, in modo analogo a quanto avviene in Italia, dove attualmente solo il Pd e il M5s utilizzano forme di consultazione per la preselezione dei propri candidati.
Proprio per aver lanciato questa tradizione in Italia, il Partito democratico si sente titolato a portarla anche in Europa, secondo il segretario-premier, che non ha mancato di sottolineare ai suoi come il Pd sia “il partito più forte d’Europa”, stuzzicando gli appetiti dei dem italiani con la prospettiva di poter ottenere l’investitura di un candidato se la forza del partito si mantenesse o addirittura incrementasse il suo peso all’interno della famiglia socialista.